di Roberta Castellarin e Paola Valentini
I Piani Individuali di Risparmio esentasse continuano a riscuotere l’interesse degli investitori. Una conferma è arrivata dalla mappa di Assogestioni che ha fatto un bilancio dei primi nove mesi del 2017. Da questi dati emerge che sono 30 i gruppi che promuovono comparti Pir compliant per un totale di 56 fondi. La loro raccolta netta da inizio anno ammonta a 7,5 miliardi di euro, di cui 5,2 miliardi relativi a fondi di nuova istituzione e oltre 2,3 miliardi riferiti a comparti già esistenti e trasformati in Pir. Il patrimonio si attesta a 12,2 miliardi proprio per l’effetto combinato della nuova raccolta e del patrimonio in dote dei fondi preesistenti. Il 35% di queste masse è rappresentato da prodotti azionari, il 37% da bilanciati e il 28% da flessibili.
Lanciati a inizio anno, i fondi sui Pir hanno avuto una partenza in sordina (1 miliardo di euro nel primo trimestre) ma in seguito la raccolta ha preso il volo; il secondo trimestre ha registrato flussi per 4,3 miliardi, mentre nei mesi estivi sono affluiti altri 2 miliardi circa e ora si attende un’impennata per fine anno. La previsione del ministero dell’Economia per l’intero 2017 è di 10 miliardi di euro. Equita è più ottimista. «Considerata la probabile accelerazione nel quarto trimestre, alziamo da 10 a 11 milliardi la stima di raccolta netta per tutto il 2017», indica il broker. Nel frattempo questa massa di denaro affluita sui Pir ha innescato un circolo virtuoso di nuove ipo, soprattutto sull’Aim Italia, che rappresenta il vero mercato per le pmi. Proprio Equita si è quotata sull’Aim nei giorni scorsi ed è stata il ventunesimo collocamento dell’anno sul mercato dedicato alle piccole medie imprese, che è salito a 90 imprese quotate.

Per quanto riguarda le società di gestione che da inizio anno sono riuscite a conquistare la quota maggiore della raccolta netta dei fondi Pir, primo è il gruppo Intesa Sanpaolo con 1,93 miliardi di euro (di cui 1,283 miliardi riferiti a Eurizon Capital e 653 milioni a Fideuram), seguito da Mediolanum con 1,59 miliardi e da Arca con 578 milioni. Poi si trova Amundi con 576 milioni, ma c’è da considerare anche la raccolta di 717 milioni realizzata da Pioneer nel primo semestre prima di confluire nel gruppo francese (Assogestioni tiene ancora i dati della raccolta separati, mentre aggrega il patrimonio gestito). Nel complesso il gruppo Amundi ha un patrimonio promosso in fondi Pir compliant di 1,46 miliardi di euro. Seguono nella classifica per raccolta Anima (539 milioni) e Lyxor (493 milioni di euro), che propone Etf sui Pir.

MF-Milano Finanza ha analizzato quali sono i titoli più presenti nel portafoglio dei Pir azionari che fanno capo alle sgr che hanno registrato la maggiore raccolta in questi mesi. Nel caso del fondo Eurizon Pir Italia Azioni il peso delle pmi in portafoglio è pari al 30%, ma nessuna piccola o media azienda rientra nella top ten dei titoli che pesano di più, perché il basket delle mid e small cap è molto parcellizzato e quindi non emerge alcuna azione di questo tipo (la prima società di questa categoria ha un peso di 1,5%). «Con questo prodotto diamo la possibilità agli investitori di puntare sulle piccole e medie imprese italiane, ma con un portafoglio che garantisca una diversificazione adeguata. Per questa ragione investiamo anche in titoli esteri e in large cap», sottolinea Francesco De Astis, responsabile dell’Italian Equity di Eurizon. «Con i Pir il legislatore voleva dare un impulso al mercato equity italiano in modo da creare un mercato finanziario più sviluppato e robusto. La risposta degli investitori c’è stata, come dimostrano i forti flussi di raccolta; ora però è necessario che si sviluppi maggiormente anche il lato dell’offerta». I grandi gestori hanno dimensioni tali che rendono difficoltoso per loro investire in società molto piccole o in titoli poco liquidi. Per quanto riguarda i criteri adottati per scegliere le società, De Astis aggiunge: «Cerchiamo società di media e piccola dimensione che abbiano un’equity story solida. Soprattutto in un mercato frammentato come quello delle piccole e medie imprese è importante concentrarsi su società che abbiano una buona potenzialità di crescita futura, un management di qualità, una buona diversificazione geografica e una struttura finanziaria solida». Visto che l’orizzonte temporale è di lungo periodo, l’approccio è più da cassettista. «Individuiamo società che in base alla loro offerta di prodotti e al loro posizionamento di mercato possano apprezzarsi nel tempo, dopodiché ne monitoriamo l’evoluzione anche incontrando il management», aggiunge De Astis.

Nel panorama dei titoli su cui si può investire meritano poi attenzione anche le spac (special purpose acquisition company), veicoli di investimento che raccolgono capitali volti a essere impiegati per un’operazione di acquisizione di una società-obiettivo. Al termine dell’operazione le azioni della società target vengono quotate in borsa. «Consideriamo le spac uno strumento interessante per investire nel mercato in quanto danno la possibilità di puntare su nuove società che approderanno sul listino azionario garantendo al contempo una liquidabilità all’investitore», dice De Astis.

Restando al gruppo Intesa Sanpaolo , i dieci titoli appartenenti all’indice Midex più presenti nel portafoglio del fondo Pir Piano Azioni Italia di Fideuram Investimenti (che dall’avvio, avvenuto il 20 aprile scorso, ha reso il 12,1%) sono Autogrill , Banca Popolare di Sondrio , Cattolica Assicurazioni , Cerved , De’ Longhi, Diasorin , Enav , Hera , Interpump Group e Iren , Inoltre un 4,61% del portafoglio di Azioni Italia (che conta in totale 127 posizioni) è fuori benchmark e «rappresenta un punto di forza, in quanto all’interno sono contenute piccole e medie imprese che danno più valore aggiunto e meno rischio rispetto ad altre pmi presenti nel Midex», spiegano da Fideuram Investimenti.

D’altra parte la normativa sui Pir prevede che per avere la completa detassazione almeno il 70% del capitale debba essere investito in aziende italiane, con un minimo del 21% in società che non appartengono al Ftse Mib. Il risparmiatore quindi si trova esposto a società di piccole dimensioni che, soprattutto nel caso delle nuove quotazioni, non hanno ancora dimostrato di avere gli anticorpi per resistere alla borsa. Da qui la necessità di affidarsi a gestori che siano veramente in grado di individuare quelle più promettenti e resistenti. «Quando analizziamo le società medie e piccole nel loro percorso verso la borsa il punto di partenza è sicuramente il piano industriale a 2-3 anni, mentre i piani strategici con orizzonti temporali troppo lunghi sono poco significativi», dice Marco Rosati, amministratore delegato di Zenit Sgr, che ha all’attivo due fondi legati ai Pir (Zenit Obbligazionario e Zenit Pianeta Italia). In particolare, spiega Rosati, «interroghiamo il management sui motivi per i quali chiedono soldi al mercato, che cosa ci vogliono fare e le mosse che intendono mettere in atto per realizzare i propri obiettivi». E questa è la base minima per iniziare a fare una selezione. Poi alcuni investitori sono più esigenti e si spingono più in là. «Noi siamo tra questi e chiediamo, ad esempio, che l’azienda sia trasparente, sia sui conflitti di interesse sia sulle operazioni con parti correlate, e che si doti di una governance che tuteli le minoranze, prevedendo ad esempio la presenza di amministratori e sindaci indipendenti e una società di revisione con un certo standing», continua Rosati. «Poi, quando l’azienda cresce e magari passa dal listino Aim a quello principale, le richieste possono aumentare. Noi ad esempio apprezziamo molto la possibilità per gli azionisti di minoranza di avere uno o più rappresentati nel consigio di amministrazione», dice Rosati. In sostanza, sintetizza il gestore, «come contropartita per i capitali che diamo alle società per farle crescere vogliamo una trasparenza totale sul bilancio e sulla governance. E le aziende che sono disposte a fare questi passi dimostrano di avere nel dna l’impostazione giusta per affrontare il mercato e starci bene. Dopodiché è chiaro che la congiuntura può essere sfavorevole, ma se la società ha messo in atto queste misure si è costruita gli anticorpi per superare eventuali momenti di difficoltà, avendo anche la possibilità in caso di crisi di continuare a ricorrere al mercato».

Anche Banca Mediolanum , che ha all’attivo due fondi Pir (Flessibile Futuro Italia e Flessibile Sviluppo Italia), ha sviluppato una struttura interna che analizza direttamente le pmi per metterle in portafoglio oppure scartarle. I due comparti investono complessivamente in pmi 1,43 miliardi di euro, di cui 800 milioni in azioni e 60 milioni in bond. «Gli investimenti in piccole e medie imprese rappresentano circa il 30% del patrimonio netto, pari a 1,15 miliardi di euro, di Futuro Italia e oltre il 50% del patrimonio netto, pari 2,18 miliardi, di Sviluppo Italia», illustra Lucio De Gasperis, direttore generale di Mediolanum Gestione Fondi. «Le piccole e medie imprese in cui siamo presenti sono oltre un centinaio, di cui 43 quotate sull’Aim Italia, per un controvalore complessivo di 72,8 milioni di euro. Mediolanum Gestione Fondi è il primo investitore sull’Aim Italia ed effettua un’attenta attività di selezione». E questo perché le aziende piccole sono poco coperte dagli analisti e la ricerca condotta internamente dalle singole società di gestione dei fondi Pir può fare davvero la differenza. «Guardiamo innazitutto al contesto competitivo e ai multipli; poi, trattandosi di società che hanno scarsa copertura, è importante incontrare il management e verificare costantemente la capacità di realizzare ciò che è stato promesso in fase di ipo e la capacità di relazionarsi con il mercato», aggiunge De Gasperis. «Una volta quotata, infatti la società deve aprire un canale stabile di comunicazione con il mercato». Il fondo Futuro Italia, che ha maggiore vocazione azionaria rispetto a Sviluppo Italia, ha un portafoglio composto al 66% da titoli del Ftse Mib e il restante 34%, per un importo attorno ai 340 milioni, da azioni non appartenenti a questo indice (circa il 20% del portafoglio è sul Midex, il 5% sul Ftse Small Cap e il 4% sull’Aim). Tali titoli però non compaiono tra le prime posizioni in portafoglio perché si tratta di aziende che spesso capitalizzano poche decine di milioni di euro nell’ambito di un patrimonio netto di oltre 1 miliardo di euro. «Abbiamo raccolto tanto, ma diamo la stessa attenzione alle piccole e alle grandi società, per individuare quelle meritevoli di raccogliere risorse», conclude De Gasperis. «Per far ciò ci siamo dotati di un team ad hoc, che va in giro per l’Italia a esaminare le pmi». (riproduzione riservata)
Fonte: