di Luca Gualtieri
Gli amministratori del gruppo Unipol scuotono la testa, assicurando che il dossier non è arrivato sul tavolo del board. Ma sul mercato molti ritengono che il risiko bancario potrebbe ripartire dall’asse Bologna-Modena-Genova, una triangolazione rimasta finora inedita nel mondo creditizio italiano.
Con il salvataggio di FonSai , Unipol è diventata la seconda compagnia assicurativa nazionale e, forte anche dell’alleanza con la Mediobanca di Alberto Nagel, ha assunto un ruolo di primo piano nello scacchiere finanziario. Un ruolo dimostrato non solo dal peso assunto nell’azionariato di Rcs (di cui Bologna detiene il 4,6%, mentre il 3,8% di Mediobanca ereditato dai Ligresti è stato ceduto per obblighi Antitrust), ma anche dalla partecipazione ai fondi Atlante 1 e Atlante 2 a cui la compagnia ha contribuito complessivamente per 200 milioni. Da manager pragmatico, però, l’amministratore delegato Carlo Cimbri è attento soprattutto al business che, negli ultimi anni, è andato piuttosto bene. I buy degli analisti continuano a fioccare grazie alla diversificazione delle fonti di ricavo e i dividendi sono stabili, con soddisfazione dei piccoli soci e di Finsoe, la storica holding delle cooperative rosse. Bologna ha però una spina nel fianco che si chiama Unipol Banca. L’istituto presieduto da Roberto Giay e guidato dal dg Stefano Rossetti è in difficoltà da tempo, gravato dal peso di quasi tre miliardi di sofferenze. Nell’ultimo decennio le rettifiche su crediti hanno superato il miliardo su un attivo che al giugno scorso ammontava a quasi 12 miliardi. Il problema è stato affrontato di petto con l’annuncio di una scissione che separerà i bad loan dagli attivi in bonis, abbattendo il costo del credito per gli esercizi a venire. Proprio in queste settimane, secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, l’operazione sarebbe entrata nel vivo dopo l’autorizzazione formale di Bankitalia. La lettera protocollata della Vigilanza (vedi documento in pagina) reca la data del 30 ottobre scorso.
Nel concreto Unipol Banca trasferirà nella società per azioni UnipolRec l’intero stock di sofferenze, esclusi i finanziamenti per leasing e gli impegni di firma, per un valore lordo di 2,94 miliardi. La pulizia, costata al gruppo un rosso di 390 milioni nel primo semestre, è stata molto apprezzata dal mercato perché risolve alla radice un problema trascinato per anni. La riorganizzazione, però, potrebbe non finire qui: con l’ausilio di Mediobanca , Bologna starebbe cercando soluzioni per valorizzare la controllata e una strada percorribile sarebbe cedere Unipol Banca a un istituto di credito, mantenendo parte del valore di upside. Caso vuole che nell’ultimo anno Cimbri abbia studiato con attenzione due dossier: quello di Bper Banca e quello di Carige .
La ex popolare modenese guidata da Alessandro Vandelli è ben radicata in alcune delle province più ricche d’Italia, ma da tempo cerca il salto dimensionale. Il recente salvataggio della Cassa di Ferrara non ha infatti esaurito le ambizioni di Bper che in passato aveva valutato acquisizioni di taglia ben più consistente come Veneto Banca o le due popolari valtellinesi. L’anno scorso, però, Unipol ha rimescolato le carte, acquisendo quasi il 10% di Bper , partecipazione che ne ha fatto di gran lunga il primo socio. Con l’assemblea 2018 la compagnia potrebbe stringere ulteriormente la presa sulla banca e aumentare il numero di rappresentanti in consiglio, non senza qualche preoccupazione da parte dei modenesi.
E poi c’è Carige . Come noto, Unipol convertirà in azioni parte dei subordinati in portafoglio, acquisendo una piccola ma strategica quota nella cassa guidata da Paolo Fiorentino. Un istituto che nel medio periodo dovrà prendere seriamente in considerazione un progetto di m&a, soprattutto per la fragilità della base ricavi e per le indicazioni lasciate filtrare dall’autorità di Vigilanza. Già in passato Carige aveva cercato di accasarsi guardando proprio alla Bper che aveva studiato il dossier con cura ma, si dice, senza grande convinzione. Se questo è il punto di partenza, gli analisti non hanno compiuto un grande sforzo di fantasia nell’immaginare un’integrazione in una o più tappe tra Bper , Carige e Unipol Banca. Il polo sarebbe incardinato su due soci di riferimento, Unipol da un lato e la famiglia Malacalza dall’altro, con un ruolo rilevante giocato anche dalle fondazioni azioniste della Bper . Grazie alle sinergie di ricavo e, soprattutto, di costo la nuova banca potrebbe alleggerire la pressione sui profitti e riservare sorprese positive ai soci. A partire proprio dai Malacalza che negli ultimi anni hanno incassato una pesante minusvalenza potenziale su Carige , dove al termine dell’aumento in corso avranno investito complessivamente quasi 400 milioni.
Per restare sempre nel campo delle speculazioni, a qualche consulente piace immaginare uno scenario ancora più ambizioso: nel medio periodo il nuovo polo nato sull’asse Bologna-Modena-Genova potrebbe guadagnare la massa critica per candidarsi alla privatizzazione di Mps . Un progetto che, non a caso, proprio Cimbri avrebbe studiato in tandem con Ubi nell’estate 2016, senza però venirne a capo. (riproduzione riservata)
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