La ricchezza è rimasta stabile ai livelli pre crisi. E il livello di educazione finanziaria anche. E’ quanto emerge dal «Rapporto sulle scelte di investimento delle famiglie italiane 2017» presentato ieri dalla Consob. Secondo il dossier lo scorso anno, in linea con gli andamenti rilevati nell’area euro, è proseguita la crescita del reddito disponibile delle famiglie italiane, anche se la ricchezza è rimasta stabile e il 40% degli intervistati dichiara di non risparmiare a causa di vincoli di bilancio molto stringenti. O perché indebitato. Il tasso di risparmio domestico è lievemente aumentato, anche se continua ad attestarsi a un livello inferiore ai valori di lungo periodo e alla media dell’Eurozona. Gli indicatori di indebitamento delle famiglie, pur superiori al dato registrato prima del 2007, rimangono invece significativamente più contenuti di quelli europei. Nel mercato del credito, i prestiti alle famiglie hanno raggiunto il livello più alto dell’ultimo triennio sebbene -soprattutto in Italia- la domanda mostri un andamento discontinuo.
Per quanto riguarda le competenze in materia finanziaria dal report emerge che gli italiani hanno conoscenze ancora molto limitate in materia di investimenti. Le nozioni di base quali inflazione, tasso di interesse semplice, relazione rischio-rendimento e diversificazione di portafoglio rimangono oscure per la maggior parte degli intervistati la cui percentuale di definizioni corrette che oscilla tra il 33 e il 53%. Va peggio con concetti più sofisticati, come il rischio di un prodotto finanziario, compreso solo dal 10-18% degli intervistati. Non sorprende che il 20% dei decisori finanziari affermi di non avere familiarità con alcun prodotto (il dato si attesta al 15% per il sottocampione degli investitori) e che il restante 80% dichiari più frequentemente di conoscere depositi bancari, titoli di Stato e obbligazioni bancarie. Le abitudini e le competenze in materia di risparmio e investimenti sono dovute prevalentemente all’interesse personale (circa un terzo degli intervistati), seguito dalla gestione del budget familiare (15%) e dall’esperienza in tema di finanza e investimenti (11%). Quasi la metà dei partecipanti alla rilevazione, però, mostra interesse ad approfondire le conoscenze.
Più della metà degli investitori decide insieme a familiari, amici e colleghi come investire. Solo un quarto sceglie dopo aver consultato un consulente finanziario o delega la gestione a un intermediario, e i restanti scelgono in autonomia. Se si guarda invece ai vari modelli di servizio rimane residuale la consulenza cosiddetta indipendente (7%), ovvero senza mandato. Mentre prevalgono la consulenza ristretta (38%) riferita a un insieme limitato di strumenti finanziari emessi generalmente dallo stesso istituto che dà consulenza e quella avanzata (40%), applicata ad un insieme più ampio di strumenti finanziari e con una valutazione periodica dell’adeguatezza degli investimenti. E’ significativo poi l’atteggiamento nei confronti dei costi del servizio. Il 45% degli intervistati non sa come sia remunerato il proprio consulente e il 37% pensa che il servizio sia gratuito e alla bassa consapevolezza dei costi si aggiunge anche la scarsa disponibilità a pagare: dopo la sfiducia verso gli intermediari (indicata dal 40% degli intervistati) i costi si annoverano tra i principali fattori che scoraggiano la domanda di consulenza. Solo il 20% si dice propenso a remunerare il consulente.
Fonte: