Sono semplici, costano poco e consentono di pianificare la distribuzione ereditaria del proprio patrimonio, schivando al contempo il rischio di potenziali aggravi fiscali futuri, da quello sulle successioni all’introduzione della famigerata imposta patrimoniale. Si spiega così il costante successo della pratica delle donazioni, specie di immobili, con effetti positivi anche sul mercato del mattone, come conferma anche dall’ultimo rapporto redatto dal Consiglio nazionale del Notariato. Nell’ultimo anno, quasi il 20% delle transazioni di fabbricati (compresi capannoni, garage e negozi, oltre naturalmente alle abitazioni) è stato infatti concluso per via gratuita, per un totale di oltre 80 mila fabbricati, cui vanno aggiunti 17 mila terreni tra edificabili e agricoli, e 36 mila immobili in nuda proprietà. Numeri di tutto rispetto, dunque, frutto della costante fiducia che, senza grandi distinzioni tra Nord a Sud, gli italiani nutrono nei confronti dello strumento della donazione immobiliare. Il 38% delle donazioni di fabbricati lo scorso anno ha riguardato infatti le regioni del Nord, il 35% il Sud del Paese, e la parte restante ha interessato il Centro e le Isole. Come prevedibile, «i beneficiari delle donazioni immobiliari si concentrano nella fascia di età tra i 18 e i 45 anni», si legge nel documento del Notariato, «mentre il 36% dei donatari rientra in quella tra 46 a 65 anni».
Come premesso, le ragioni del grande successo che riscuotono le donazioni immobiliari tra gli italiani sono evidenti: da una parte, la possibilità di sfruttare un livello impositivo molto basso per trasmettere una casa dai genitori ai figli o direttamente ai nipoti, evitando in questo modo possibili modifiche peggiorative alla legge relativa alle imposte di successione che potrebbero trasformarsi in un salasso al momento del trasferimento di immobili per via testamentaria. A seconda del grado di parentela dell’erede, infatti, le norme oggi in vigore prevedono che, se si tratta della prima casa, il trasferimento di un immobile attraverso la donazione avvenga in maniera del tutto gratuita, fatta eccezione per l’imposta di trascrizione e di quella catastale, ognuna del valore di 168 euro. E questo, fino al raggiungimento della franchigia che per i parenti in linea retta arriva fino a un milione di euro. Superata questa soglia, si pagherà il 4% di imposta di donazione a cui si aggiunge il 2% del valore dell’immobile sotto forma di imposta di trascrizione e l’1% per quella catastale. Tutte quante calcolate sulle rendite catastali attuali, rivalutate come per le altre imposte immobiliari. Lo stesso discorso vale, anche se con franchigie più ridotte e aliquote di tassazione più alte, anche per familiari con grado di parentela meno stretto o per altri beneficiari.
Ma il ricorso alla donazione avviene anche come strumento per ottimizzare la fiscalità immobiliare delle famiglie riducendo le imposte sulle seconde case attraverso l’iscrizione dell’immobile donato come prima casa a figli, nipoti, fratelli e via di seguito. Ovviamente se si davvero intenzione di destinare loro definitivamente il bene. A differenza che dal testamento, che si può modificare fino all’ultimo, dalla donazione non si torna indietro. Così facendo, si riesce infatti a sfuggire al versamento dell’Imu e della Tasi, oltre all’abbattimento dei costi delle bollette di acqua, luce e gas. Ma solo a patto che l’immobile diventi abitazione principale del beneficiario della donazione.
Al di là dei benefici garantiti dalla donazione immobiliare, esistono tuttavia una serie di vincoli e di rischi a cui vanno incontro i beneficiari di una donazione, tali da andare a bilanciare in molti casi i numerosi vantaggi garantiti da questa pratica. «Il nostro ordinamento riserva a determinati soggetti legittimari (coniuge, figli e ascendenti del defunto) una quota di eredità detta legittima della quale non possono essere privati per volontà del defunto stesso, sia che sia stata espressa in un testamento o eseguita in vita tramite donazioni», spiegano dal Notariato. «In caso contrario, il legittimario potrà far valere il proprio diritto all’ottenimento dell’intera quota di legittima mediante un’apposita azione giudiziaria soggetta al termine di prescrizione di 10 anni dalla data di apertura della successione. E se il donatario ha venduto gli immobili donati e non dispone di altri beni per compensare il legittimario, questo potrà chiedere ai successivi acquirenti la restituzione del bene o l’equivalente in denaro». Tutto questo produce due effetti piuttosto distorsivi per mercato delle case. Da una parte, gli immobili frutto di donazione difficilmente trovano acquirenti prima dello scadere del periodo di prescrizione previsto dalla legge per l’azione di restituzione, 20 anni dalla stipula o dieci dalla scomparsa del donatore. Non solo. Un eventuale acquirente deciso a correre il rischio, difficilmente potrà contare su un finanziamento bancario per coprire la somma. Dovrà quindi disporre di tutta la somma cash. È prassi comune, infatti, che gli istituti di credito tendano a chiudere i rubinetti del credito in presenza di una richiesta di mutuo per l’acquisto di un immobile frutto di una donazione. E questo, per garantirsi da un’eventuale azione risarcitoria da parte dell’erede legittimo che dovesse richiedere la restituzione dell’immobile. Nel qual caso la banca verrebbe a perdere completamente la garanzia ipotecaria sul denaro prestato. A correre in aiuto di un possibile acquirente, in ultima istanza, ci sarebbero soltanto alcune (poche) compagnie di assicurazione che proprio di recente hanno deciso di scommettere su questo settore mettendo a punto una serie di polizze disegnate attorno alle esigenze del piccolo esercito di beneficiari di donazioni immobiliari. (riproduzione riservata)
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