di Luisa Leone
Le fintech stanno per diventare tecnologie di massa. Parola di E&Y che nel suo ultimo sondaggio sull’utilizzo delle nuove tecnologie legate al mondo della finanza, sottolinea che già oggi una persona su tre utilizza questi servizi e che la prospettiva è di arrivare presto al 52%. D’altronde, che sia in procinto di esplodere una nuova rivoluzione digitale è dimostrato anche dall’attenzione sempre maggiore che i colossi della finanza dedicano al fintech: nella sua ultima lettera agli azionisti il ceo di Jp Morgan Chase, Jemie Dimon, ha rivelato che la banca Usa nel solo 2016 ha puntato ben 600 milioni di dollari sulle nuove tecnologie del settore. Mentre il numero uno del gruppo assicurativo Aviva, Mark Wilson, in un recente incontro pubblico ha scandito: «Vogliamo trasformarci in una società Fintech».
Un altro sasso lo ha poi lanciato nello stagno la Banca centrale cinese, che all’inizio dell’estate 2017 ha annunciato la costituzione di un Comitato Fintech per favorire lo sviluppo di queste tecnologie, in particolare quelle legate alla blockchain (vedere articolo a fianco). Il che non stupisce troppo, se solo si pensa che proprio i cinesi, sempre secondo gli esperti di E&Y, sono i primi utilizzatori delle fintech a livello globale, con una penetrazione dei servizi che arrivando al 69%, surclassa anche il 42% del Regno Unito. Più in generale i Paesi emergenti (oltre alla Cina l’India, il Brasile, il Sud Afrca e il Messico) in media arrivano al 46% nell’utilizzo dei nuovi strumenti, che si sono dimostrati in grado di fare breccia nelle fasce di popolazione tecnologicamente alfabetizzate ma finora finanziariamente poco servite.
In questo quadro a tinte forti l’Italia appare piuttosto sbiadita e non è probabilmente un caso che tra i 20 mercati esplorati dal report E&Y figurino quasi tutti i maggiori Paesi europei (Germania, Francia, Spagna, Olanda, ma anche Irlanda, Belgio Lussemburgo e la Svizzera) eccetto appunto l’Italia. C’è da segnalare però che da qualche tempo il tema sembra essere diventato di attualità anche nella Penisola: ha parlato di Fintech il presidente Consob, Giuseppe Vegas, nella sua ultima relazione annuale, chiedendo regole per il settore per evitare il rischio di Far West. Le aziende del comparto hanno però contestato l’assenza di regole e anzi hanno rilanciato chiedendo misure che possano mettere le aziende italiane in grado di competere con quelle europee, che oggi si avvantaggiano di una cornice normativa più semplice e più adatta al loro sviluppo.
Le istituzioni, dal canto loro, sembrano avere colto il cambio di passo e di recente hanno aperto il dossier: il ministero dell’Economia con l’avvio di un tavolo di confronto a cui sono stati invitati i principali operatori italiani delle nuove tecnologie applicate alla finanza e il Parlamento con il via libera a un’indagine conoscitiva promossa dalla commissione Finanza della Camera, su iniziativa del deputato Pd, Sebastiano Barbanti. L’indagine partirà ufficialmente il prossimo 12 settembre, con la prima audizione (Stefano Capaccioli, presidente di AssoB.it) il giorno stesso del rientro dei deputati dalla pausa estiva. Poi sarà la volta dei rappresentanti delle aziende: da Credimi a Money Farm e Satispay, da Iseed, e ModeFinance fino a Epic Sim e molte altre. Nel calendario ci sarà spazio, naturalmente, anche per gli appuntamenti con i regolatori (Bankitalia, Consob e Ivass), le associazioni di settore (Abi e Ania in primis) e quelle dei consumatori. Intanto il governo, con il tavolo di confronto (il cui primo appuntamento si è tenuto a fine luglio 2017), ha messo le basi per affinare possibili interventi normativi. Il primo incontro tra i rappresentanti del ministero dell’Economia e gli operatori è stato dedicato ai macrotemi del contesto regolatorio e del possibile sviluppo del business ma già nel prossimo appuntamento, che non dovrebbe farsi attendere troppo dopo la ripresa delle attività alla fine della pausa estiva, i player del comparto dovrebbero portare al tavolo qualcosa di più concreto: idee e proposte per migliorare l’habitat fintech in Italia.
Qualche spunto in realtà è già arrivato. Barbanti, che da qualche tempo segue il settore e nei mesi scorsi ha organizzato diversi incontri con i rappresentanti di alcune delle aziende italiane più rappresentative, ha messo sul tavolo l’idea della creazione di una Fintech Tower, che potrebbe sorgere a Milano, per creare un ambiente fisico dedicato a queste realtà e riuscire magari ad attrarre anche le start up della finanza in fuga da Brexit. Un’altra idea è l’istituzione della figura del Referente Fintech per il governo, con i compito di coordinare le attività sul settore e di fare da punto di riferimento per gli operatori.
L’esecutivo, dal canto suo, secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, avrebbe intenzione di mettere a punto interventi nel settore dell’innovazione già a partire dal prossimo autunno, quando si aprirà ufficialmente la sessione di bilancio, con la stesura prima della nota di aggiornamento al Def e poi della legge di Bilancio 2018. Una possibilità sarebbe quella di far viaggiare le norme per lo sviluppo del fintech in un collegato alla legge di Bilancio, una sorta di Open Innovation Act, in grado di incentivare le nuove tecnologie applicate alla finanza e attirare aziende e capitali dall’estero, sulla scorta di quanto già sperimentato con l’esperienza delle misure Finanza per la Crescita .
Di certo un primo obiettivo è bloccare l’emorragia di aziende italiane del fintech che decidono di fare base a Londra invece che nella Penisola e possibilmente vedere rientrare quelle che hanno optato per la City. In secondo luogo, si potrebbe tentare di invertire il flusso, candidando Milano a raccogliere l’eredità di Londra quando l’addio della Regno Unito all’Unione Europea diventerà una realtà. Il tempo però stringe, perché altre capitali, a partire da Berlino e Stoccolma, sono già in movimento. (riproduzione riservata)
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