di Paola Valentini
Ha sfondato il muro degli otto milioni la platea degli iscritti ai fondi pensione. In base ai dati diffusi oggi dalla Covip, in Italia a fine giugno il numero complessivo di iscritti alle forme di previdenza complementare (incluse le duplicazioni di lavoratori contemporaneamente a più forme pensionistiche) è di 8,022 milioni. Al netto delle uscite la crescita dall’inizio dell’anno è di circa 235 mila unità (+3%).
Nei fondi negoziali si è registrato un aumento di 70 mila iscrizioni (+2,7%), per un totale a fine giugno di 2,667 milioni. L’aumento delle adesioni di questi comparti ha risentito ancora in parte del meccanismo di iscrizione contrattuale varato due anni fa dai fondi del settore edile (che peraltro è ormai a pieno regime).
Più nello specifico nel rinnovo dei Ccnl edili-industria e Ccnl edili-artigiano avvenuto nel 2014 si è stabilita l’adesione automatica ai fondi pensione Prevedi e Cooperalvoro a decorrere dal 1 gennaio 2015 di tutti i lavoratori con un versamento a carico del datore di lavoro. Un’iniziativa che poi è stata estesa alla fine del 2016 anche una porzione del bacino del fondo Byblos (dedicato ai dependenti del settore cartario, aziende grafiche ed editoriali).
In pratica questa formula permette l’iscrizione di default dei lavoratori i quali possono poi, se vogliono, versare in aggiunta anche un proprio contributo, oltre al tfr.
Per quanto riguarda le altre tipologie di fondi complementari, le adesioni sono aumentate di 56 mila unità negli aperti (+4,5%) e di 111 mila (+3,9%) nei pip (piani individuali di previdenza di nuova generazione). Questi nel complesso a fine giugno detengono, rispettivamente, 1,315 milioni e 2,981 milioni di iscritti.
Numeri che però vanno letti alla luce della forza lavoro totale in Italia. Che comprende attorno ai 25,7 milioni di persone (tra occupati e chi è in cerca di lavoro). Dunque i fondi pensione coprono ancora poco meno di un terzo del mercato potenziale. Non a caso il nuovo tavolo di lavoro aperto tra governo e sindacati ha tra gli altri l’obiettivo di studiare misure per un rilancio delle pensioni di scorta. Il tema è anche oggetto del decreto concorrenza, ancora all’esame del Parlamento, che punta a un utilizzo meno rigido del tfr che va ai fondi pensione.
Eppure i rendimenti non hanno deluso. L’indagine Covip conferma i dati raccolti da MF-Milano Finanza secondo cui in media i fondi negoziali hanno reso nel semestre attorno allo 0,9% mentre gli aperti hanno fatto l’1,5% e i pip lo 0,1% (solo unit linked), a fronte della rivalutazione del tfr in azienda che ha registrato un +1,06% (quest’ultimo si apprezza ogni anno dell’1,5% fisso più il 75% dell’indice di inflazione Istat).
“Oltre che dal livello dei costi, le differenze nei rendimenti medi delle forme pensionistiche dipendono dall’asset allocation adottata. In media i risultati più elevati si sono registrati per le linee di investimento azionarie, riflettendo l’andamento nel complesso positivo delle borse mondiali nel periodo considerato; nelle linee a esclusivo contenuto obbligazionario”, sottolinea la commissione di vigilanza sui fondi pensione presieduta da Mario Padula, “i rendimenti medi sono stati marginalmente negativi, vista la lieve risalita dei tassi di interesse a lungo termine nell’area dell’euro mantenutisi tuttavia su livelli storicamente bassi”.
Quanto alle risorse in gestione, a fine giugno il patrimonio accumulato dalle forme pensionistiche complementari ammonta a 155 miliardi di euro, +2,6% da fine 2016 (il dato non tiene conto delle variazioni nel semestre dei fondi pensione preesistenti e dei pip di vecchia generazione). Le masse dei fondi negoziali sono pari a 47,4 miliardi, +3,1% nel semestre. I fondi aperti dispongono di un patrimonio di 18 miliardi (+5,1%) e i pip nuovi di 25,3 miliardi (+6,6%).
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