Ai fini della riconducibilità dell’evento dannoso a un determinato comportamento, non è sufficiente che tra l’antecedente ed il dato consequenziale sussista un rapporto di sequenza, essendo invece necessario che tale rapporto integri gli estremi di una sequenza possibile, alla stregua di un calcolo di regolarità statistica, per cui l’evento appaia come una conseguenza non imprevedibile dell’antecedente; occorre quindi dar rilievo, all’interno della serie causale, solo a quegli eventi che non appaiono – a una valutazione ex ante – del tutto inverosimili, in base alle leggi generali di copertura proprie delle scienze esatte applicate ai fenomeni naturali, in tal senso giustificandosi il nesso relazionale causa -conseguenza secondo un giudizio di probabilità scientifica, ovvero – in assenza di tali leggi – in base alla valutazione dei dati di esperienza e della rilevazione della intensità delle frequenze statistiche degli accadimenti, che consentano di desumere, per via induttiva, la esistenza del nesso eziologico, dovendo – in quest’ultima ipotesi – considerarsi che non vi è piena coincidenza nel regime probatorio dell’accertamento del nesso eziologico in sede civile ed in sede penale, avuto riguardo ai differenti valori sottesi ai due processi: ed infatti, nell’accertamento del nesso causale in materia civile, vige la regola della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non”, ispirato al criterio della normalità causale, mentre nel processo penale vige la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio” che risponde ad un criterio di elevato grado di credibilità razionale che è prossimo alla certezza.
Cassazione civile sez. VI, 24/05/2017 n. 13096