Consumatori tutelati ma imprese esposte a più a rischi
Pagina a cura di Federico Unnia

Nel periodo 1990-2016 sono state pronunciate, in Italia, 128 sentenze di merito in tema di risarcimento di danni da violazione delle norme antitrust. Di queste, 44 pronunce hanno fatto seguito ad azioni follow on, ovvero a seguito di una decisione presa dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato (confermata poi in sede di appello avanti al Tar Lazio e dal Consiglio di Stato). Mentre sono state 84 quelle scaturite da azioni stand alone, ovvero iniziate indipendentemente da imprese concorrenti e consumatori per vedersi risarcire i danni da illeciti concorrenziali. Un dato diverso da quello evidenziato nel biennio 2015-2016 in ambito europeo, dove i casi di Private antitrust enforcement sono stati 93 (con 14 sentenze di merito e 79 cause incardinate), 80 delle quali con procedimento follow on e 13 stand alone. Di queste, 90 hanno riguardato una controversia tra imprese e solo 3 consumatori, e loro associazioni, contro aziende. In testa alla classifica, l’Inghilterra, con 69 cause instaurate, seguita da Olanda con 10 e Germania con 6.

Sono alcuni dei dati che emergono dallo studio effettuato in Italia, su iniziativa dell’Osservatorio permanente sull’applicazione delle regole di concorrenza dell’Università di Trento, sulle cause aventi a oggetto richieste di risarcimento del danno fondate su una violazione, da parte delle imprese, della normativa anti-concorrenziale. La materia è oggi disciplinata, nel nostro paese, dal decreto legislativo n. 3/2017, con cui il legislatore ha recepito la direttiva 2014/104/Ue, con la quale, appunto, è stata introdotta una normativa uniforme negli stati dell’Ue in materia di azioni di risarcimento. Tale sistema detto «private antitrust enforcement», di natura civilistica, si aggiunge e si coordina con i sistemi già esistenti di «public enforcement» del diritto della concorrenza (applicazione delle norme da parte delle autorità amministrative). Siamo così passati da un sistema non omogeneo e coerente, nel quale il driver erano i provvedimenti delle autorità antitrust nonché della giurisprudenza della Corte di giustizia e dei Tribunali nazionali, a uno in cui è la direttiva e una legge in Italia a riconoscere un diritto risarcitorio e a stabilire le specifiche regole procedurali.

«Lo studio che abbiamo condotto conferma come fino a oggi le azioni siano state promosse soprattutto sull’onda di provvedimenti dell’Antitrust. Non a caso i settori merceologici più coinvolti in Italia sono stati le Tlc (16 procedimenti), trasporti (9), servizi digitali, energia e settore bancario con 1 ciascuno», spiega a ItaliaOggi Sette Michele Carpagnano, fondatore e condirettore dell’Osservatorio nonché Partner responsabile Competition & Antitrust dello studio legale Dentons. L’indagine, sui casi italiani, conferma come 60 cause siano state promosse presso il Tribunale di Milano, 19 in quello di Roma, 7 a Bologna e 3 a Napoli. A livello europeo, nel biennio in esame, 3 casi decisi dalla Commissione europea (Visa Mastercard, Liquid Crystal Displays e cartello sui camion) hanno generato 41 dei procedimenti avviati con contenzioso follow on. Uno scenario, questo, che induce a credere che la nuova disciplina introdotta con il dlgs 3/2017 porterà a una crescita delle cause conseguenti decisioni sia italiane sia europee in tema di cartelli, intese restrittive della concorrenza e abusi di posizione dominante.

Gli aspetti principali regolati dal decreto riguardano, tra l’altro, la legittimazione ad agire. Sara Biglieri, partner responsabile Litigation & arbitration dello studio Legale Dentons, impegnata nella ricerca osserva: «Consolidando la giurisprudenza della Corte di giustizia e della Corte di cassazione in materia, stabilisce che il diritto al risarcimento spetta a chiunque abbia subito un danno a causa di un illecito antitrust da parte di un’impresa (o associazione di imprese). Il decreto ha inoltre previsto che le regole da esso stabilite si applicano anche alle azioni di risarcimento del danno antitrust incardinate tramite class action ai sensi dell’articolo 140-bis del Codice del consumo». Novità anche in tema di acquisizione delle prove: «Il decreto, preso atto dell’asimmetria informativa che caratterizza questo tipo di azioni regola un particolare ordine di esibizione che, a differenza del tradizionale istituto previsto dal codice di procedura civile, può riguardare anche intere categorie di prove e può coinvolgere anche le prove contenute nel fascicolo dell’Agcm» aggiunge.

Le prove in possesso dell’Agcm sono distinte in tre gruppi. Quelle che non possono mai essere esibite; quelle che possono essere esibite solamente dopo la definizione del procedimento davanti all’Agcm; quelle che possono essere esibite anche prima della conclusione del procedimento. Il giudice può applicare delle sanzioni amministrative pecuniarie in caso di inadempimento all’ordine di esibizione e ritenere provato il fatto a cui la prova si riferisce. Il decreto prevede che l’accertamento di un illecito effettuato dall’Agcm divenuto definitivo (contenuto in una decisione non più soggetta a impugnazione o in una sentenza del giudice del ricorso passata in giudicato) ha un’efficacia vincolante per il giudice e nei confronti dell’autore, circa la natura della violazione e la sua portata materiale, personale, temporale e territoriale. Il soggetto che richiede il risarcimento del danno, quindi, in presenza di una decisione dell’Autorità, sarà tenuto a dimostrare l’esistenza del danno lamentato e il nesso di causalità tra illecito antitrust e il danno asseritamente subito. L’esistenza del danno si presume in presenza di un «cartello», salva la prova contraria.

«Il nuovo assetto normativo conferma il ricorso ai criteri di quantificazione del danno, anche equitativi, già stabiliti dalla giurisprudenza Ue, precisando chiaramente che essi non devono dare luogo a sovracompensazioni o punitive damages. Novità più rilevanti riguardano invece la disciplina sulla responsabilità solidale delle imprese (salve le deroghe per le Pmi e i partecipanti a un programma di clemenza), la composizione consensuale delle controversie (che può dar luogo a una sospensione del procedimento fino a due anni)», ricorda Carpagnano.

Quali rischi per le imprese da questa nuova disciplina? «Certamente la possibilità di trovarsi coinvolti in un contenzioso in sede internazionale, con le conseguenze legate al foro competente. Non dimenticherei, inoltre, la possibilità che un’impresa finisca nel mirino di soggetti aggregatori di azioni. È una prassi che si è già manifestata in alcuni casi, con significative ricadute per le imprese, anche perché tali soggetti selezionano con molta attenzione le azioni da incardinare prediligendo le giurisdizioni più favorevoli per gli attori. Un’ulteriore fonte di rischio è rappresentata dalla possibilità, che si sta affermando nella prassi, di essere convenuti rispetto a illeciti antitrust a cui non si è partecipato ma rispetto a cui si è in possesso di informazioni strategiche. Si pensi per esempio alle azioni incardinate contro le società di leasing e di long rental nei casi follow on incardinati a seguito della decisione della Commissione Ue nel caso del cartello dei camion. In questi casi, l’intento degli attori sembra essere quello di coinvolgere nel contenzioso soggetti «intermedi» tra il danneggiato e l’autore della violazione al fine di far confluire nel contenzioso soggetti in possesso di informazioni e prove che possono rivelarsi cruciali per la buona riuscita dell’azione risarcitoria. Non va trascurato, inoltre, il rischio che, nella ricerca dei deep pocket, cioè dei soggetti effettivamente in grado di pagare istanze risarcitorie milionarie, gli attori più aggressivi decidano di coinvolgere nel contenzioso anche i fondi di investimento che detengono partecipazioni rilevanti in imprese coinvolte in illeciti antitrust.

Infine, a mio avviso, non vanno trascurati i costi connessi a una maggiore attenzione e investimento nella prevenzione di ogni possibile rischio da cui possano derivare criticità concorrenziali, rafforzando i programmi di compliance antitrust interni già esistenti o implementandone di nuovi più evoluti e in grado di gestire efficacemente il «nuovo» rischio di contenzioso antitrust. Si tratta, come si può immaginare, di un rischio che deve essere gestito nell’immediato dal momento che il Decreto prevede espressamente che le nuove disposizioni procedurali si applichino anche alle azioni di risarcimento già incardinate presso i tribunali. Inoltre, non può escludersi che il nuovo contesto normativo, più favorevole ai danneggiati, possa invogliare questi ultimi ad adire i tribunali fondando le proprie azioni su provvedimenti dell’Agcm e della Commissione europea anche più risalenti nel tempo», sottolinea Carpagnano.

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