Ai prossimi congiunti della persona che ha subito lesioni, a causa del fatto illecito altrui, spetta anche il risarcimento del danno morale concretamente accertato, in relazione ad una particolare situazione affettiva intercorrente con la vittima
In tal caso, il congiunto è legittimato ad agire iure proprio contro il responsabile.
La giurisprudenza ha chiarito che il danno non patrimoniale deve essere inteso nella sua accezione più ampia di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica.
Correttamente, sul punto, il difensore ricorrente richiama il dictum della sentenza delle Sezioni Unite Civili n. 26972 dell’11/11/2008, che esplica il concetto di danno non patrimoniale, comprensivo del danno morale permanente o temporaneo -circostanze delle quali occorre tenere conto in sede di liquidazione, ma irrilevanti ai fini della risarcibilità- e può sussistere sia da solo, sia unitamente ad altri tipi di pregiudizi non patrimoniali -ad es. derivanti da lesioni personali o dalla morte di un congiunto-.
Tuttavia, quello che difetta nel caso in esame, come ha correttamente ritenuto la Corte territoriale, è proprio la prova della presenza di quel saldo e duraturo legame affettivo alla cui esistenza le stesse Sezioni Unite civili ancorano la possibile lesione atta a connotare l’ingiustizia del danno e a renderne risarcibili le conseguenze pregiudizievoli, a prescindere dall’esistenza di rapporti di parentela e affinità giuridicamente rilevanti come tali.
Va rilevato, infatti che, a prescindere dalla loro utilizzabilità, come rileva la logica motivazione del provvedimento impugnato che ne sottolinea la labilità e l’inconsistenza, non possono essere certo dei messaggi sms o rapporti intrattenuti sul social forum Facebook a poter far dire provata la sussistenza di tale legame.
È esperienza comune, infatti, che, soprattutto i giovani, hanno centinaia e centinaia di amici Facebook, con molti dei quali intrattengono rapporti meramente virtuali che, evidentemente, nulla hanno a che vedere con i concetti di amicizia e di stabile rapporto affettivo.
Anche di fronte ad una vita scandita dai nuovi strumenti di comunicazione, va dunque confermata la giurisprudenza che vuole non possa prescindersi dalla dimostrazione dell’intensità della relazione esistente fra i congiunti e la vittima dell’illecito ed individua nella convivenza il principale elemento di valutazione circa la sussistenza del diritto al ristoro da perdita parentale in capo a congiunti diversi da quelli appartenenti alla ristretta cerchia familiare.
Affinché si configuri la lesione di un interesse a rilevanza costituzionale, la convivenza non deve intendersi necessariamente come coabitazione, quanto piuttosto come stabile legame tra due persone, connotato da duratura e significativa comunanza di vita e di affetti.
E si è osservato che, in tale prospettiva, i riferimenti costituzionali non sono da cogliere negli artt. 29 e 30 Cost., così che detto legame debba essere necessariamente strutturato come un rapporto di coniugio, ed a questo debba somigliare, quanto piuttosto nell’art. 2 Cost., che attribuisce rilevanza costituzionale alla sfera relazionale della persona, in quanto tale.
Sul piano probatorio, che pure qui viene in rilievo, si è poi considerato: che colui che rivendica il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale in conseguenza della morte della persona a cui è legato da relazione affettiva, deve allegare e dimostrare l’esistenza e la natura di tale rapporto, la sua stabilità, intesa come non occasionalità e continuità nel tempo, tale da assumere rilevanza al momento di verificazione del fatto illecito; che spetta al danneggiato, che chiede il risarcimento del danno non patrimoniale attinente alla propria sfera relazionale, dare la prova dell’esistenza e della natura di tale rapporto, potendo tuttavia questa essere fornita con ogni mezzo, ed anche mediante elementi presuntivi; e che spetta al giudice di merito accertare, alla stregua delle circostanze del caso concreto, e degli elementi, anche presuntivi, addotti dalla parte, l’apprezzabilità della relazione affettiva, a fini risarcitori.
La risarcibilità dei danni morali per la morte di un congiunto causata da atto illecito penale richiede, dunque, oltre all’esistenza del rapporto di parentela, il concorso di ulteriori circostanze tali da far ritenere che la morte del familiare abbia comportato la perdita di un effettivo valido sostegno morale, rilevando che deve tuttavia considerarsi come il legislatore non abbia inteso estendere la tutela ad un numero, a volte indeterminato, di persone le quali, pur avendo perduto un affetto non hanno una posizione qualificata perché venga in considerazione la perdita di un sostegno morale concreto. Perciò, per quei soggetti, quali i nonni e gli zii, che non hanno un vero e proprio diritto a essere assistiti anche moralmente dai nipoti, si rende necessario, oltre il vincolo di stretta parentela, un presupposto -ad esempio, ma non necessariamente, la convivenza- che riveli la perdita appunto di un valido e concreto sostegno morale -presupposto che la Corte di merito non ha ravvisato-.
Al requisito della convivenza va attribuito un valore importante, ma non necessariamente dirimente, poiché attribuire a tale situazione un rilievo decisivo porrebbe ingiustamente in secondo piano l’importanza di quei legami affettivi e parentali la cui solidità e permanenza non possono ritenersi minori in presenza di circostanze diverse, che comunque consentano una concreta effettività del naturale vincolo nonno-nipote, zio-nipote.
I casi, possibili, sono quelli, ad esempio, di una non convivenza giustificata da una frequentazione agevole e regolare per la prossimità delle reciproche residenze o, al contrario, giustificata dalla lontananza delle residenze, cui si ovvia facilmente, in una società improntata alla comunicazione in tempo reale con modalità di fruizione tecnologica ormai diffusa a livello di massa, con continui contatti telefonici, a mezzo chat, messaggi, ecc.
Pare evidente, in tal senso, che la molteplicità di contatti telefonici o telematici, laddove sia giustificata dalla difficoltà del contatto fisico, si traduce in un intenso livello di comunicazione in tempo reale, che rende del tutto superflua la compresenza fisica nello stesso luogo per coltivare e consentire un reale rapporto parentale.
E ciò vale, evidentemente, tanto per i nonni o gli zii verso i nipoti quanto per i genitori verso figli che lavorano o studiano in altra città o addirittura all’estero.
L’approdo ermeneutico deve dunque essere quello di prescindere da presunzioni generali iuris et de iure – che ontologicamente potrebbe imporre, d’altronde, solo il legislatore entro i principi costituzionali e comunitari di tutela dei diritti dell’uomo – diversa essendo la modalità operativa dell’interprete, il quale, valutando caso per caso, non potrà che utilizzare quale parametro il concreto configurarsi delle relazioni affettive e parentali in ragione di peculiari condizioni soggettive e situazioni di fatto singolarmente valutabili, escludendo ogni carattere risolutivo della convivenza, che costituisce comunque un significativo elemento di valutazione in assenza del quale, tuttavia, può comunque dimostrarsi la sussistenza di un concreto pregiudizio derivante dalla perdita del congiunto.
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, 9 marzo 2017 n. 11428