di Claudio Plazzotta
Il gruppo assicurativo Unipol, che vale una raccolta complessiva di circa 16,5 miliardi di euro, decide di investire oltre la metà del suo budget destinato alle media relations sullo sviluppo del digital e dei social. Appena rinnovato il sito corporate, grande presenza su Twitter, Linkedin e Youtube dove conta complessivamente quasi 35 mila fan, adesso arriva il lancio di Changes (changes.unipol.it), nuovo magazine digitale pensato per raccontare i temi legati al cambiamento.
Il progetto, guidato dalla direzione corporate communication e media relations di Unipol, è stato realizzato col supporto di Lob pr+content, agenzia di corporate communication e content marketing che ha progettato il magazine digitale e che ne cura i contenuti. Il prodotto editoriale è diviso in sei macro categorie (technology, society 3.0, sharing, environment, well being, close to you), tenendo conto delle tante domande quotidiane su economia, clima, salute, alimentazione, e dei fattori che impatteranno sul business assicurativo. Nel comparto bancario-assicurativo italiano non c’è nulla di simile (tolto, forse, il progetto Che Futuro!, di Che Banca!, che però ha confini tematici più limitati), mentre tra i grandi gruppi quotati c’è probabilmente il precedente di Eniday realizzato da Eni.
Unipol, perciò, esplora il brand journalism, una nuova strada di comunicazione destinata a giornalisti, influencer, ma soprattutto al parco clienti (solo in Italia sono milioni), parlando «a un pubblico generalista e trasversale, non necessariamente specializzato», spiega Fernando Vacarini, responsabile media relations di Unipol e direttore di Changes, «e raccontando in prima persona il mondo di riferimento di Unipol e le sfide socio-economiche che impatteranno in futuro non solo sul business assicurativo, ma sulla vita di ciascuno di noi.
Changes non è stato pensato come prodotto per far vendere altri prodotti, ma intende soprattutto stimolare riflessioni attraverso contenuti di alta qualità».
Tra le storie già online, ad esempio, c’è un approfondimento di Alberto Broggi (docente al dipartimento di ingegneria dell’informazione dell’Università di Parma e fondatore di VisLab) sull’auto senza pilota, e di Carlo Ratti (architetto, ingegnere e docente al Mit di Boston) sull’impatto dei big data nelle città del futuro. «Su un’automobile», racconta Ratti, «ci sono circa 2 mila sensori, da quello del finestrino elettrico all’Abs, dalla temperatura alle luci, ecc». E la raccolta e l’analisi di tutti questi dati (è in atto un progetto sperimentale con Volkswagen, ndr) consente di comprendere moltissime cose: dai flussi del traffico agli incroci più pericolosi (dove si attiva più spesso il sistema frenante Abs, ndr) fino alle buche sulle strade o ai ponti che necessitano di manutenzione poiché vibrano troppo. Con più intelligenza artificiale a governare i flussi e più auto senza pilota, si ridurranno drasticamente i veicoli circolanti (80% in meno, anche se il totale dei chilometri percorsi ogni giorno, probabilmente, resterà uguale. Ci saranno, cioè, poche auto ferme e parcheggiate) e gli incidenti. Questo potrebbe non essere positivo per il sistema assicurativo, «ma ci saranno nuovi rischi da assicurare», dice Ratti, «come per esempio quello contro i virus che attaccano i computer».
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