di Maria Domanico

L’avvocato non potrà essere considerato responsabile solo in presenza di un semplice errore o di una omissione, ma sta al cliente la necessità di dimostrare che ci sarebbero state probabilità di un diverso e più favorevole esito in assenza della condotta che viene dichiarata colpevole.

È quanto sottolineato dai giudici della terza sezione civile della Corte di cassazione con la sentenza n. 22882 dello scorso 10 novembre.

Il caso sottoposto all’attenzione dei giudici di piazza Cavour vedeva il Tribunale dichiarare l’infondatezza dell’azione di responsabilità proposta dalla casa di cura Caia nei confronti degli avvocati Tizio e Sempronio, ritenendoli non imputabili della pur lamentata illegittimità degli atti di una procedura di licenziamento collettivo adottata dall’attrice su loro suggerimento, in mancanza di prova della attribuibilità ai predetti avvocati della condotta generatrice del lamentato evento di danno.

La Corte di appello, investita dell’impugnazione proposta dalla casa di cura, la ritenne inammissibile ex art. 348-ter c.p.c..

Costituisce, difatti, ius receptum il principio secondo il quale la responsabilità dell’avvocato non può dirsi esistente, e conseguentemente affermarsi, in presenza di un semplice errore (od omissione), stante la necessità di dimostrare, da parte del cliente, la ragionevole probabilità di un diverso e più favorevole esito in assenza di quella condotta asseritamente colpevole: la sentenza impugnata, sia pur implicitamente, appare perfettamente orientata da tali principi, a parere degli Ermellini, avendo correttamente valutato, altrettanto correttamente giudicando, in ordine agli oneri di allegazione e prova gravanti.
Fonte:
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