Il comune risarcisce i danni da pubblicazione sull’albo
di Antonio Ciccia Messina

Il comune non deve risarcire i danni se pubblica all’albo pretorio on-line dati sanitari, senza indicazione della patologia. La diffusione di un’informazione generica (come la sola informazione dell’infortunio a un ginocchio) implica una soglia di danno minimo, che rimane senza indennizzo. A maggior ragione se gli interessati non sono in concreto identificabili, come per esempio avviene in una grande città, in cui ben difficilmente ci si prende la briga di andare a consultare l’albo pretorio on-line per fatterelli di scarsa importanza.

Lo ha stabilito la Corte di cassazione (sentenza della sezione terza civile, n. 20615 depositata il 13 ottobre 2016), salvando un comune siciliano che ha pubblicato sul suo sito internet i provvedimenti di autorizzazione alla costituzione dell’ente nelle cause contro persone di cui ha indicato alcuni dati sensibili.

La sentenza della Cassazione è in netto contrasto con i provvedimenti del garante per la protezione dei dati personali quanto alla definizione di dato sanitario e anche con quelli relativi alla liceità della pubblicazione sui siti internet degli enti locali.

Ma vediamo di illustrare la sentenza.

Nel caso specifico un comune ha pubblicato all’albo pretorio presente sul sito internet dell’ente due deliberazioni, nella prima delle quali ha indicato nomi e cognomi di alcune persone coinvolte in un sinistro stradale e nella seconda i dati sanitari di una signora che era caduta nell’atrio comunale.

Con le deliberazioni, per le quali l’articolo 124 del Tuel, Testo unico enti locali (dlgs 267/2000), il comune ha deciso di resistere in giudizio contro i danneggiati.

In parallelo gli interessati hanno promosso un’altra causa sempre contro il comune per risarcimento del danno per violazione della loro privacy e hanno avuto ragione in primo grado.

Il comune, però, ha fatto ricorso in Cassazione e ha ottenuto il ribaltamento della sentenza.

Secondo la Cassazione la pubblicazione e la diffusione dei dati personali doveva ritenersi lecita, perché il comune non avrebbe potuto fare diversamente, essendo applicabile un obbligo specifico di pubblicazione (articolo 124 del Tuel). In proposito la Cassazione non ha ritenuto rilevante il fatto che le deliberazioni sono rimaste sul sito oltre il quindicesimo giorno, e cioè il termine massimo previsto dall’articolo 124 citato. La sentenza precisa che questo termine non è di natura perentoria, tanto più che il dlgs 33/2013 (decreto sulla trasparenza), per la pubblicazione degli atti sul sito internet dell’ente pubblico, ha disposto un termine di conservazione di cinque anni.

La sentenza si è dedicata anche al concetto di dato personale e di dato sensibile. La Cassazione ha sostenuto che, per il risarcimento, ci vuole una probabilità in concreto di identificazione dell’interessato; ha ritenuto inoltre che il dato sanitario non è un generico riferimento alla salute, ma quello descrittivo di una patologia specifica.

Nel dettaglio la Cassazione ha sostenuto che non vi è identificabilità delle persone se le deliberazioni non riportano informazioni significative oltre il nome e cognome. Secondo la sentenza andrebbero aggiunti, per esempio, data e luogo di nascita, residenza, codice fiscale, attività lavorativa.

La pronuncia aggancia la possibilità di identificazione anche ad altri indici.

Secondo la Cassazione bisogna considerare il contesto e, quindi, se siamo in un comune piccolo in cui si conoscono tutti (a allora basta il nome e cognome) oppure se siamo in una città più grande.

In un grosso centro per la identificazione si devono fare ricerche, consultando banche dati, effettuando operazioni molto dispendiose e del tutto sproporzionate, soprattutto se si tratta di un banale incidente d’auto e di una banale caduta in un locale del palazzo comunale.

In una grande città nome e cognome possono non dire nulla e questo impedirebbe, dice la Cassazione, il verificarsi di un danno reputazionale.

Quanto al dato sanitario, la Cassazione ha giudicato che non ci sarebbe stato un trattamento di dati sulla salute: non basta il riferimento generico all’infortunio al ginocchio, perché ci vuole il riferimento specifico a patologie, terapie, anamnesi e accertamenti diagnostici.

Da ultimo la Cassazione ha precisato che, anche se ci sono dati sensibili, il risarcimento non è automatico.

La pronuncia ritiene che è risarcibile il danno solo se è serio e grave, mentre non sono risarcibili i danni minimi, che non superano la soglia di tollerabilità.

In ogni caso non sono risarcibili i danni non provati in maniera specifica nella loro identità e nella loro quantificazione.

La sentenza è in controtendenza con la consolidata nozione di dato sensibile; inoltre confonde le pubblicazioni per fini di trasparenza (per le quali il dlgs 33/2013 prevede il termine di conservazione di 5 anni) dalle pubblicazioni per fini ulteriori, come quelle all’albo pretorio on-line (per le quali il garante si è pronunciato più volte per l’illiceità della conservazione oltre 15 giorni).

La pronuncia, inoltre, restringe il concetto di dato sanitario alle sole patologie specifiche, anche qui in contrasto con gli orientamenti del garante. E si tratta di un punto molto importante, visto che il codice della privacy vieta la diffusione di dati sanitari e tale divieto è soggetto a sanzione penale e amministrativa.

Tali contrasti non fanno che alimentare un notevole disorientamento nella prassi delle p.a., che nonostante tutto devono, per legge, contemporaneamente rispettare la trasparenza degli atti e la riservatezza delle persone.

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