di Anna Messia
Nessun rallentamento, anzi, ci sarà un’accelerazione e un’azione più decisa. La scelta della Gran Bretagna di lasciare l’Unione Europea, conseguenza dal referendum dello scorso 23 giugno, non farà naufragare la Capital Market Union, il progetto europeo per dare vita a un mercato unico dei capitali. Tutt’altro, se sarà necessario saranno messe in campo nuove azioni. Ad assicurarlo è stato ieri Ugo Bassi, a capo della direzione capitale e società della Commissione europea, intervenuto durante la presentazione del secondo rapporto annuale sulle scelte di investimento delle famiglie italiane realizzato dalla Consob. Bassi ha dichiarato che oggi più che mai «c’è bisogno di aumentare la varietà delle fonti di finanziamento, per ridurre la dipendenza dal sistema bancario», obiettivo principale della Capital Market Union. L’intenzione è dare vita a un legame più strutturato tra risparmio e imprese, per accelerare la crescita economica e il lavoro. In questa direzione «alcune azioni sono già state attuate e altre sono in corso di realizzazione», ha ricordato Bassi, aggiungendo che a metà 2017 è prevista un’analisi di medio termine del progetto, e che il traguardo resta fermo, fissato al 2019. Una maggiore ricchezza di strumenti richiede però, d’altra parte, più informazioni e garanzie a vantaggio dei risparmiatori che dall’analisi realizzata da Consob appaiono oggi praticamente privi di cultura finanziaria ma anche di fiducia nei confronti del sistema finanziario. Solo poco più del 40% degli intervistati è in grado di definire correttamente alcune nozioni di base, come l’inflazione o il rapporto tra rischio è rendimento. E appena il 6% conosce le implicazioni di una corretta diversificazione dei propri investimenti. Non solo. Più del 20% degli intervistati dichiara di non avere familiarità con alcuno strumento finanziario, percentuale che scende all8% per il sotto campione degli investitori. Ma anche l’80% delle persone che hanno detto di avere conoscenze nei prodotti finanziari si limitano a citare prevalentemente titoli di Stato italiani e obbligazioni bancarie italiane. Il dato più allarmante sembra essere però quello della scarsa consapevolezza degli italiani delle proprie carenze nel settore dell’educazione finanziaria. Si sentono anzi piuttosto bravi. Addirittura l’85% degli intervistati si attribuisce capacità almeno nella media con riferimento alle decisioni di risparmio, amministrazione del bilancio familiare e controllo delle spese inutili.
La scarsa conoscenza è poi affiancata dalla forte avversione al rischio: più del 50% degli intervistati investe i suoi risparmi in liquidità (rispetto al 38% del 2007), mentre circa la metà è avversa alle perdite e un 20% non vuole saperne di variabilità dei rendimenti. Insomma, una quadro tutt’altro che rassicurante, in cui la formazione e l’informazione finanziaria, semplice e sintetica, sembrano quanto mai necessarie. Ma qui le notizie non sono confortanti: se non sembrano esserci rischi di rinvii per la Capital Market Union, in pericolo di slittamento è invece la nuova normativa sui cosiddetti Priips, che dovrebbe partire dal dicembre 2017 e offrire, in tre sole pagine, informazioni sintetiche e chiare sui prodotti finanziari. Ma ci sono scontri in Europa, che stanno rimettendo in discussione le fondamenta del provvedimento «che rischiano di mandare all’aria il lavoro fatto negli ultimi tre-quattro», ha dichiarato ieri Bassi, annunciando un’imminente novità europea nel settore della previdenza complementare con il lancio di un nuovo strumento: regime pensionistico complementare europeo, ovviamente su basi volontarie. (riproduzione riservata)
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