di Stefania Peveraro
È il wealth management a rappresentare la fetta più grossa degli utili semestrali Intesa Sanpaolo , grazie soprattutto agli ultimi tre mesi che hanno visto un netto recupero nei risultati del risparmio gestito dopo un periodo gennaio-marzo appesantito dal negativo andamento dei mercati finanziari. Lo ha dichiarato ieri il ceo Carlo Messina commentando i risultati del semestre e confermando l’obiettivo di 3 miliardi di euro di dividendi per l’intero esercizio. Quest’ultima notizia ha puntellato il titolo Intesa , che ieri a Piazza Affari ha limitato la perdita a un -3,8% (a 1,82 euro) al termine dell’ennesima giornata nera per le banche in borsa.
«Stiamo proseguendo con successo nell’evoluzione verso il modello della wealth management cmpany», ha commentato Messina. «Nel secondo trimestre le commissioni sono cresciute del 10% rispetto al primo. Negli ultimi due anni e mezzo il flusso netto di risparmio gestito è stato di 64 miliardi e abbiamo raggiunto già gli obiettivi di piano. Il 50% circa dell’utile prima delle imposte proviene da attività di wealth management, comprese quelle facenti capo alla divisione Banca dei Territori».
L’utile netto di Intesa è risultato in calo nel semestre a 1,7 miliardi dai 2 miliardi dello stesso periodo 2015, quando però la banca aveva beneficiato di un andamento particolarmente favorevole dei mercati finanziari. Se si escludono i contributi ai fondi di risoluzione e di garanzia dei depositi, l’utile netto del primo semestre è stato di 1,81 miliardi (dai 2,1 di un anno prima). In ogni caso il dato del secondo trimestre è in crescita rispetto a quello dei primi tre mesi dell’anno (901 milioni da 806, al lordo dei contributi al fondo di risoluzione) ed è già pari a quasi il 90% dei 3 miliardi di euro di dividendi indicati per l’esercizio 2016, se si considera anche la plusvalenza netta di 895 milioni derivante dalla cessione di Setefi e Intesa Sanpaolo Card, che sarà contabilizzata nella seconda metà dell’anno.
A trainare il risultato è stata la gestione operativa del secondo semestre, in aumento di ben il 24% a 2,45 miliardi rispetto ai primi tre mesi dell’anno. Bene anche i proventi operativi netti (+14%) a 4,6 miliardi e appunto le commissioni (+10%) a 1,85 miliardi, grazie al recupero del risparmio gestito, con una raccolta netta di circa 3 miliardi nel secondo trimestre dal miliardo registrato nel primo.
Quanto alla qualità del credito, il flusso netto di nuovi crediti deteriorati (sofferenze, inadempienze probabili e crediti scaduti/sconfinanti) provenienti da crediti in bonis è sceso nel semestre a 2 miliardi (-31%), il valore semestrale più basso dal 2007. Contemporaneamente, sempre nel periodo gennaio-giugno sono state riportate in bonis oltre 10 mila aziende italiane da posizioni di credito deteriorato, il che porta a circa 40 mila posizioni il dato dal 2014. Quanto allo stock dei crediti deteriorati, è sceso al netto delle rettifiche a 32,4 miliardi dai 33,1 miliardi di dicembre. Le sofferenze nette sono però aumentate a 15,16 miliardi (da 14,97) con un’incidenza sui crediti complessivi pari al 4,2% (dal 4,3%) e un grado di copertura al 60,7% (dal 61,8%).
Il tutto con oltre 27 miliardi di euro di nuovo credito a medio-lungo termine nel primo semestre 2016, di cui 24 miliardi in Italia (+24%).
Al 30 giugno, tenendo conto di 1,65 miliardi di dividendi maturati nel semestre, il Common Equity ratio pro-forma a regime era del 12,9%, livello top tra le maggiori banche europee, e il Common Equity ratio secondo i criteri transitori in vigore per il 2016 era al 12,7%. Nello scenario avverso dello stress test al 2018 il Common Equity ratio è risultato invece pari al 10,2%. Sul tema Messina ha commentato: «Secondo gli stress test di venerdì scorso siamo l’unica grande banca in Europa che, anche nello scenario avverso, mostra una posizione di capitale in eccesso rispetto ai requisiti previsti dal regolatore». (riproduzione riservata)
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