Il cliente può rivalersi se salta la ristrutturazione societaria
Pagina a cura di Valerio Stroppa
Il professionista che sbaglia a strutturare l’operazione richiesta dal cliente, causando per quest’ultimo un maggiore esborso conseguente a un accertamento dell’Agenzia delle entrate, risponde di tasca propria. Di fronte a un mandato professionale che preveda espressamente di progettare una ristrutturazione societaria fiscalmente neutra, avvalersi di uno strumento quale il conferimento (che genera invece imposizione) costituisce un «grave e totale inadempimento» dell’obbligazione assunta. Motivo per cui la terza sezione civile della Corte di cassazione ha confermato la condanna a carico di un commercialista a risarcire oltre un milione di euro alla società assistita, ossia un importo pari a quanto versato da quest’ultima a titolo di maggiori imposte.
La sentenza n. 15107/16, depositata ieri, rappresenta una pronuncia significativa in tema di responsabilità professionale, rinnovando la necessità per i professionisti di porre la massima attenzione ai contenuti delle lettere di incarico rivolte ai committenti e poi firmate. Nel caso di specie il tribunale civile di Milano aveva respinto l’azione risarcitoria dell’azienda, ritenendo che l’inadempimento del commercialista fosse solo parziale, in quanto non c’erano le prove che l’operazione non sarebbe stata portata a termine se gli imprenditori avessero conosciuto ex ante le effettive conseguenze fiscali.
Giudizio però ribaltato dalla Corte d’appello meneghina, secondo la quale «il rapporto contrattuale venne regolato sulla base della precisa individuazione di alcuni obiettivi da raggiungere e, in particolare, quello della sospensione d’imposta, assicurata erroneamente dal professionista». Tesi condivisa dalla suprema corte, che aggiunge come l’obbligazione del consulente era «strumentale al conseguimento di quel preciso risultato, nella specie non raggiunto per causa imputabile al debitore, inadempiente in toto all’obbligo assunto nel contratto».
Mentre l’oggetto del mandato era la progettazione dell’operazione straordinaria, infatti, «la causa concreta era costituita dallo scopo di evitare la tassazione», prosegue la sentenza, ribadendo peraltro che nessun onere probatorio incomberebbe sulla società, dal momento che l’inadempimento del professionista alla propria obbligazione contrattuale, «individuatone correttamente la causa e l’oggetto, era emerso per tabulas dall’incarto processuale». Motivazioni che portano la corte a respingere il ricorso del consulente, condannato anche a risarcire alla società 17.500 euro di spese processuali.
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