Il governo accende i motori per la vendita della seconda tranche di azioni Poste Italiane , attesa per l’autunno. Ieri il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, chiamato in commissione sia alla Camera sia al Senato, ha detto che dalla cessione sul mercato di poco meno del 30% delle azioni del gruppo postale potrebbe arrivare, ai valori attuali, un incasso di circa 2 miliardi. Una somma che si aggiungerebbe ai 3,1 miliardi ottenuti lo scorso ottobre dalla privatizzazione del 35,3%, che ha portato alla quotazione a Piazza Affari del gruppo guidato da Francesco Caio.
«Tale operazione è stata l’ipo 2015 più grande d’Europa ed è stata indubbiamente di successo», ha sottolineato l’amministratore delegato del gruppo, chiamato anch’egli in audizione in commissione al Senato. Caio ha ricordato l’apprezzamento del mercato e degli investitori internazionali per la società. Il gruppo ha cambiato governance per diventare un’azienda di mercato, ha oggi un’azionariato diffuso e, nonostante la volatilità delle borse (il titolo oggi quota 6,15 euro, quindi meno dei 6,75 euro dell’ipo), «le azioni Poste Italiane hanno fatto un +18% rispetto all’indice delle borsa italiane», ha sottolineato Caio.
Il nuovo collocamento sarà però decisamente più incisivo del primo, nel quale il governo si era impegnato a mantenere almeno il 60% di Poste Italiane . Con la cessione programmata di una seconda tranche di poco meno del 30% il ministero dell’Economia non avrà infatti più alcuna partecipazione diretta nel gruppo postale. Deterrà indirettamente il 35% tramite Cassa Depositi e Prestiti, spa di cui il Tesoro controlla più dell’80% e a cui ha ceduto la propria quota in Poste con l’obiettivo di rafforzare il patrimonio di Cdp e consentirle di dare attuazione al piano industriale che prevede il forte sostegno all’economia italiana. Ma la Cassa avrà però soltanto diritti patrimoniali sulla quota posseduta, ha sottolineato Padoan, ricordando che il controllo resterà saldamente nelle mani di via XX Settembre e che la quota non potrà essere ceduta senza il consenso del Tesoro. Non solo. In analogia con altre società a controllo statale, come Eni e Enel , esistono limiti statutari in grado di garantire la stabilità del controllo di Poste, perché «è fatto divieto a soggetti diversi dallo Stato di esprimere voto in assemblea per una percentuale superiore al 5%, qualunque sia la quota in loro possesso», ha ricordato Padoan.
Clausola che era stata inserita già con la privatizzazione della fine dello scorso anno. Ai senatori e ai deputati che sottolineavano invece il rischio di una svendita del gruppo, il ministro dell’Economia ha ricordato che la privatizzazione fa parte di un piano di dismissioni che punta a ridurre il debito pubblico, la cui esecuzione viene seguita con attenzione dalla Commissione Europea e dal Fmi. E, in ogni caso, la privatizzazione di Poste, come quella di altre aziende dello Stato, ha l’obiettivo di valorizzare le imprese, migliorandone la gestione ed «esponendole alla pressione competitiva positiva del mercato», ha detto Padoan. Per quanto riguarda Poste, il piano industriale al 2020 prosegue come previsto, ha detto Caio, che sta già guardando a nuove evoluzioni, sfruttando la prossimità al territorio di cui gode il gruppo. Allo studio in queste settimana c’è una «carta servizi salute», che prevede sconti di almeno il 15% in strutture convenzionate, disponibile anche per gli over 65. (riproduzione riservata)
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