di Manuel Follis
Si chiamano piani di successione e sono le procedure che una società predispone in caso di avvicendamento delle figure apicali del gruppo. La cronaca finanziaria degli ultimi mesi ha presentato al mercato la sostituzione di tre manager di primo piano ovvero i ceo di Generali , Telecom Italia e Unicredit che hanno anche trasformato in argomento di attualità la tematica della successione. I piani delle società dovrebbero favorire il ricambio e gestire la cessazione dall’incarico degli amministratori esecutivi e del top management nel modo più fluido possibile, contenendo gli effetti negativi di eventuali discontinuità gestionali. «La realtà è che c’è tanto da fare», spiega a MF-Milano Finanza Fabio Bianconi, director di Morrow-Sodali, società internazionale specializzata in attività di corporate advisory, attività assembleare e proxy, e questo, aggiunge, «in un periodo in cui il tema sta diventando di sempre più crescente attenzione per gli investitori». Perché? Un piano di successione poco efficace o trasparente genera incertezza, che è uno degli spauracchi del mercato, ma c’è anche qualcosa in più. «Il piano di successione», spiega Bianconi, «fornisce uno spaccato di come una società è in grado di affrontare il cambiamento. In presenza di procedure ferraginose, per fare un esempio, implica tempi più lunghi e si torna al tema dell’incertezza».
Una recente ricerca condotta da Sodali, che ha coinvolto investitori istituzionali internazionali per un ammontare complessivo di 23 trilioni di asset gestiti (con il seguente breakdown geografico: 50% UK, 36% Usa, 15% Europa) ha evidenziato che: il 72% degli investitori intervistati nella fase di engagement con le società presta attenzione al tema dei piani di successione e che il 77% degli investitori ritiene che il miglioramento della disclosure da parte delle società in merito ai piani di successione possa condurre a un aumento della fiducia e del supporto ai consigli di amministrazione. «Ci sono molti esempi, soprattutto nei mercati anglosassoni, in cui la mancanza o la inadeguata implementazione dei piani di successione ha determinato una serie di conseguenze negative, tra cui oscillazioni repentine del corso azionario, impatto sui ricavi e sulle opportunità di mercato, con un forte pregiudizio nei confronti degli interessi degli azionisti», continua Bianconi.
E l’Italia? Il mercato vive una sorta di divisione tra il settore bancario e le restanti società e, come accade anche sul tema dell’attenzione alle minoranze, evidenzia una differenza tra le grandi società e quelle a media o piccola capitalizzazione. Per quanto riguarda gli istituti di credito, Bankitalia già dal 2014 ha previsto che le principali banche siano dotate di piani di successione, mentre per le altre società la predisposizione di un piano non è obbligatoria. «A tutt’oggi nell’indice principale soltanto 10 società, tra cui Generali , Mediobanca e Prysmian , hanno adottato piani di successione in armonia con quanto richiesto dal codice di autodisciplina e dalle best practice internazionali», spiega Bianconi. Ci sono poi, prosegue, «25 società che non hanno adottato piani di successione degli amministratori esecutivi mentre nessuna ha adottato un sistema di successione per gli amministratori non esecutivi, date le caratteristiche peculiari del sistema del voto di lista». Il tema, però, e lo ricorda anche il manager di Morrow-Sodali, è sempre più oggetto di discussione e confronto da parte della comunità finanziaria e assume comunque rilievo per quelle società nelle quali è prevista la possibilità che il cda uscente presenti una lista di candidati, come ad esempio accade in Prysmian . Quest’ultima rappresenta forse la best practice in materia in Italia, ma ovviamente questo dipende anche dalla struttura dell’azionariato, visto che la società è una pura public company senza azionisti di riferimento.Quando poi si passa alle società a media e bassa capitalizzazione il discorso cambia. Tra le società del Ftse Mid Cap solo il 13% circa ha implementato negli ultimi anni i propri piani di successione, una percentuale che scende a un bassissimo 3% quando si passa alle aziende del Ftse Small Cap.
Una ricerca di Stanford University ha studiato ad esempio cosa avviene nelle società quando muore il ceo (statistiche alla mano il mercato americano assiste a quasi un decesso al mese di manager di figure apicali). Normalmente le società Usa sono particolarmente veloci nella sostituzione, spesso prevedendo una soluzione interna, ma la ricerca evidenzia come il mercato tenda poi ad accettare tempi di successione più lunghi in caso la scelta ricada su manager particolarmente affidabili. La ricerca di Stanford, in sostanza, evidenzia come i due fattori fondamentali siano il tempo e la qualità: o si cambia in fretta per garantire continuità o si deve puntare su manager di grandi capacità. In Italia l’avvicendamento più recente ha riguardato il ceo di Unicredit , Federico Ghizzoni. «In quel caso un piano c’era e ha funzionato», spiega Bianconi che riguardo alle altre recenti successioni (Flavio Cattaneo al posto di Marco Patuano in Telecom e Philippe Donnet al posto di Mario Greco in Generali ) spiega che, nonostante i ritardi che non hanno aiutato la banca, «per contesto e difficoltà alla fine Unicredit è uscita bene da questa fase».
Uno degli elementi premianti, come sempre, è la trasparenza. È evidente, come detto, che in un mercato come quello italiano contraddistinto da società guidate da forti azionisti di controllo la scelta sulla successione spetti al socio di maggioranza, ma è importante che l’azionista spieghi le motivazioni che hanno portato all’avvicendamento e soprattutto inserisca il cambiamento all’interno di un processo, dettagliato appunto nei piani di successione. «Per andare incontro alle esigenze dei mercati, i cda dovrebbero approvare e implementare la trasparenza sui piani di successione nella relazione sul governo societario e assetti proprietari», conclude Bianconi, chiarendo «gli aspetti essenziali del funzionamento di questi piani, evitando l’utilizzo di formule di stile, con le quali si rende noto per mera compliance l’esistenza di un piano di successione senza offrire però alcun dettaglio sulla procedura e la funzionalità dello stesso». (riproduzione riservata)
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