di Filippo Buraschi
Un altro calo di quasi il 20% a 0,2652 (nuovo minimo storico) e altri 200 milioni di euro bruciati in una sola seduta che portano la capitalizzazione della banca a 777 milioni di euro da 981 milioni della chiusura di lunedì 4. Mps è sempre più nel mirino della speculazione, tanto che la Consob ha vietato per la seduta di oggi le vendite allo scoperto anche assistite dalla disponibilità titoli, ma anche le altre banche, con l’eccezione di Ubi (+1,3%) e Unicredit (+0,72% dopo un report favorevole di Goldman Sachs, come illustrato nell’articolo a pagina 3), continuano a essere sotto pressione: Banco Popolare -3,8%, Mediobanca -3,2% e Intesa Sanpaolo -2,2%. L’arretramento del comparto bancario ha ovviamente spinto l’intera borsa al ribasso e Piazza Affari ha chiuso la seduta di ieri in calo dell’1,45%.
L’attacco all’istituto senese si è intensificato negli ultimi due giorni (lunedì 4 il titolo aveva ceduto il 14%) dopo la richiesta della Bce di ridurre le sofferenze nette di circa 10 miliardi in tre anni, che comporta per la banca senese uno sforzo più che doppio rispetto a quanto previsto dal suo piano e che potrebbe portare a nuove ricapitalizzazioni per un importo fino a 4 miliardi. Hanno certo contribuito ad amplificare la speculazione i messaggi da panico dei giornali anglosassoni, con tanto di titolone in prima pagina del FT, peraltro recidivi nell’attacco al sistema bancario italiano (ricordate le versioni fuorvianti dopo la prima edizione degli stress test?). Il cda dell’istituto, convocato per domani, sarà chiamato a stilare le controdeduzioni alla richiesta della Vigilanza. «Non si capisce se c’è bisogno di un aumento di capitale e di quale entità oppure se interverrà Atlante per smaltire un po’ di sofferenze. Nel frattempo si vende», ha sintetizzato un trader. Insomma, il Monte dei Paschi , nonostante un business plan che ha portato l’utile della gestione caratteristica a 1,3 miliardi, resta un vaso di coccio secondo gli investitori, anche perché quel profitto viene eroso dalle perdite sui crediti deteriorati.
Intanto il governo continua a trattare con la Ue per sbloccare possibili soluzioni di sistema per mettere in sicurezza il settore bancario. Si pensa a un intervento pubblico di sostegno alle eventuali ricapitalizzazioni (peraltro sollecitato dalla stessa Bce come ha detto lunedì il membro della Vigilanza, Ignazio Angeloni, come riportato ieri da MF-Milano Finanza) in caso di deficit di capitale che dovessero emergere dagli stress test di fine mese. In alternativa -o più verosimilmente a supporto dell’intervento pubblico- l’intenzione sarebbe quella di dotare il fondo Atlante, o un nuovo veicolo Atlante2, di capitali da destinare soprattutto all’acquisto di npl. Sul tavolo anche l’ipotesi di Padoan bond sulla falsariga dei Tremonti e Monti bond. L’obiettivo è ridurre comunque al massimo le perdite di investitori e risparmiatori nelle operazioni di salvataggio, memori della crisi di fiducia che aveva determinato il coinvolgimento degli obbligazionisti subordinati nella risoluzione per le quattro banche salvate (vedere anche articolo a pagina 3).
Si tratta di timori suffragati dalle vendite che hanno colpito non solo le azioni ma anche i bond subordinati delle banche italiane. Le obbligazioni più colpite sono ovviamente quelle di Mps : il titolo in scadenza a settembre del 2020 da 379 milioni di euro vale oggi 77,5, mentre quello all’aprile 2020 (quasi 370 milioni di euro in circolazione) vale 76,7. Ma il discorso non riguarda solo Mps : il bond subordinato in scadenza a dicembre 2020 di Carige vale 92,2 e l’Additional tier bond (At1) da 1 miliardo di Unicredit , il primo titolo a essere impattato in caso di perdite che intaccano i requisiti di vigilanza, è sceso a 78,1, ma anche le obbligazioni delle banche più solide d’Europa soffrono come dimostra il perpetuo da 1,25 miliardi di Intesa che vale 90,9.
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