In uno quadro che vede ridursi il ricorso al sistema sanitario pubblico, definito carente da un cittadino su due, spicca l’interesse nei confronti della sanità integrativa, in particolare nell’assistenza sanitaria offerta dai fondi contrattuali di categoria, considerata dai lavoratori poco onerosa e di agevole accesso.

Presso i Ced, i tributaristi, le società tra professionisti, avanza l’azione del secondo pilastro della sanità attraverso l’attività del Fondo Easi, Ente di assistenza sanitaria integrativa costituito pariteticamente dalle associazioni datoriali Assoced e Lait e dal sindacato dei lavoratori Ugl Terziario, che, rispondendo con efficacia alle istanze degli assistiti, garantisce un’adeguata tutela sanitaria anche a molti che a causa di difficoltà economiche sarebbero costretti a rinunciarvi.

Sono infatti 11 milioni nel 2016 (nel 2012 erano 9 milioni) gli italiani che hanno dovuto rinviare o rinunciare a prestazioni sanitarie nell’ultimo anno a causa di difficoltà economiche, non riuscendo a pagare di tasca propria le prestazioni. La spesa sanitaria privata è arrivata a 34,5 miliardi di euro, registrando un incremento del 3,2% e di 80 euro a testa negli ultimi due anni (2013-2015). L’andamento della spesa sanitaria privata è tanto più significativo se si considera la dinamica deflativa, rilevante nel caso della diminuzione dei prezzi di alcuni prodotti e servizi sanitari. Nel servizio sanitario nazionale il ticket è aumentato fino a superare il costo della stessa prestazione in una struttura privata. Il 45,4% dei cittadini ha pagato tariffe nel privato uguali o di poco superiori al ticket che avrebbe pagato nel pubblico. Il 30,2% si è poi rivolto alla sanità a pagamento perché i laboratori, gli ambulatori privati e gli studi medici sono aperti anche nel pomeriggio, la sera e nei weekend. In altre parole 10,2 milioni di italiani fanno un maggior ricorso alla sanità privata rispetto al passato, e di questi il 72,6% a causa delle liste di attesa che nel servizio sanitario pubblico si allungano. Pagare per acquistare prestazioni sanitarie è ormai un gesto quotidiano: più sanità per chi può pagarsela. A rischio dunque le fasce più deboli della popolazione, anziani e giovani spesso privi di un posto di lavoro e con una vita precaria, che rinunciano a curarsi per motivi legati alla crisi economica.

È quanto emerge dall’ultima ricerca Censis sulla sanità integrativa, che fotografa la disfatta della sanità pubblica italiana. Anche la percezione che gli italiani hanno delle prestazioni erogate dal proprio servizio sanitario regionale non è incoraggiante. Per il 45% degli italiani la qualità del servizio sanitario della propria regione è peggiorata negli ultimi due anni (lo pensa il 39,4% dei residenti nel Nordovest, il 35,4% nel Nordest, il 49% al Centro e il 52,85 al Sud), per il 41,4% è rimasta inalterata e solo per il 13,5% è migliorata. Numerose sono le contraddizioni registrate dalla ricerca. Un esempio è rappresentato dal fatto che a fronte di 5,4 milioni di assistiti che ammettono di aver ricevuto nell’ultimo anno prescrizioni inutili dal loro medico, oltre la metà della popolazione non accetta però che il suo medico sia sanzionato per quelle ricette evitabili. E quindi che lo spreco sia evitato.

«Ci troviamo di fronte a uno scenario preoccupante», afferma Claudio Ceccarelli, presidente del Fondo Easi, Ente di assistenza sanitaria integrativa per i dipendenti dei Centri elaborazione dati, costituito pariteticamente dalle associazioni datoriali Assoced e Lait e dal sindacato dei lavoratori Ugl Terziario. «I tagli alla sanità pubblica operati negli ultimi anni hanno abbassato la qualità delle prestazioni e generato iniquità. Per questo è prioritario trovare risorse aggiuntive per impedire che meno spesa pubblica significhi più spesa privata e meno sanità per chi non può pagare. Occorre invertire un trend che prevede nel 2016 un gap di circa 17 miliardi di euro tra le esigenze di finanziamento della sanità e le risorse disponibili nelle regioni. Per questo bisogna individuare un meccanismo che possa alleggerire la spesa sanitaria delle regioni, puntando in misura maggiore sulle attività di prevenzione. Proprio nell’ambito della prevenzione il nostro fondo risulta all’avanguardia. Presso i Ced, gli studi professionali, le società tra professionisti, infatti, il ruolo del welfare contrattuale assume una grande rilevanza attraverso una serie di misure che rispondono coerentemente alle mutate esigenze degli assistiti, tra cui emergono le prestazioni diagnostiche e di alta specializzazione e le prestazioni di implantologia inserite nell’ambito delle cure odontoiatriche».

In questo scenario a tinte fosche non sorprende che più di 26 milioni di italiani si dicono propensi a sottoscrivere una polizza sanitaria o ad aderire a un fondo sanitario integrativo. Cresce quindi tra gli italiani la consapevolezza della necessità di trovare strade alternative per la copertura delle proprie spese per la salute e per avere accesso a un sistema di qualità: tra sistema pubblico in crisi e sanità privata che cresce, avanza il desiderio di sanità integrativa tra chi oggi ne è escluso. O perché non può permettersela o perché non ha opportunità di fondi contrattuali di categoria.

Una strada, la sanità integrativa, che rappresenta un’opportunità e una risposta in grado di offrire un servizio sul territorio più equo e sostenibile. In Italia la sanità complementare è un sistema composto da centinaia di fondi integrativi a beneficio di oltre 11 milioni di assistiti, che svolgono un ruolo ampiamente sostitutivo e colmano i vuoti dell’offerta pubblica. Tuttavia, la sanità integrativa stenta ancora a decollare, perché appesantita da un sistema fiscale estremamente penalizzante. «Bisognerebbe ripensare le agevolazioni fiscali per le forme sanitarie integrative, per assicurare tutte le prestazioni che oggi sono pagate di tasca propria dagli italiani e per rimuovere le penalizzazioni di natura fiscale per i cittadini che decidono su base volontaria di assicurare la propria famiglia. Anche per i fondi sanitari integrativi di matrice contrattuale, come appunto il fondo Easi, si potrebbe pensare di allacciare il sistema di welfare bilaterale al premio di produttività, in modo tale da estendere i vantaggi fiscali che ne deriverebbero sia in favore dei datori di lavoro sia in favore dei dipendenti».
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