Indennizzi pure per pubblicazioni abusive degli utenti
di Federico Unnia

Il provider deve risarcire anche per le pubblicazioni abusive degli utenti. Arriva il chiarimento atteso nella tutela dei diritti d’autore su opere o spezzoni diffusi in modo illecito su internet. Il 27 aprile scorso il Tribunale di Roma ha accolto la richiesta risarcitoria formulata da Reti televisive italiane (Gruppo Mediaset) contro la piattaforma digitale americana «Break» (http://www.break.com/), e l’ha condannata al pagamento di euro 115.000,00 per il risarcimento dei danni subiti a causa della violazione dei propri diritti esclusivi dell’operatore televisivo dovuta alla abusiva diffusione di 48 video estratti da noti programmi televisivi di Rti (per una durata complessiva di 77 minuti). I giudici hanno inoltre quantificato il danno di Rti in circa 1.300 euro per ogni minuto di emissione non autorizzata, fissando inoltre una penale di euro 1.000,00 per ogni futura violazione e per ogni giorno di permanenza dei video all’interno della piattaforma.

La sentenza del Tribunale di Roma (IX sez civile, n. 8437/2016, pres. ed est. T. Marvasi) si pone nel solco di principi già chiaramente espressi dalla «consolidata giurisprudenza europea». In primo luogo il Tribunale ha escluso che possa parlarsi, nel caso di specie, di servizi di mero hosting provider atteso che il provider mette a disposizione degli utenti contenuti audiovisivi provenienti da diverse fonti e che i contenuti non sono «casualmente immessi dagli utenti ma catalogati ed organizzati in specifiche categorie». Inoltre esiste un «intervento diretto del provider anche nei contenuti» inclusa l’attività di collegamento degli stessi ai «video correlati». Infine, il modello di business attribuisce ai contenuti «un ruolo determinante per il successo pubblicitario e di conseguenza economico» dell’attività di Break. Questo è quindi un «sofisticato content provider» in quanto «seleziona i contenuti mettendoli nella home page della categoria» e «dispone di un editorial team».

La sentenza ha inoltre affermato il principio della «conoscenza effettiva» dell’illecito da parte del provider. Si tratta della conoscenza, acquisita «in qualsiasi modo», della illiceità dei dati che fa sorgere la responsabilità civile e risarcitoria dell’Isp. Perché la conoscenza sia «effettiva» è sufficiente un’indicazione specifica della denominazione dei programmi, tramite diffida o altro mezzo. Tutti questi elementi avrebbero dovuto «sollecitare la necessaria attività di verifica e controllo» di Break, «peraltro con gli stessi strumenti informatici utilizzati dagli utenti per la ricerca delle trasmissioni attraverso le parole chiave e i sistemi» messi a disposizione dalla stessa Break.

Il Tribunale ha rigettato la tesi sostenuta dalla difesa di Break – imperniata sulla piena applicabilità del regime delle esenzioni di responsabilità dei fornitori di servizi di mero «hosting» di cui all’art. 16 della direttiva 2000/31/Ce – definendo tale impostazione difensiva «anacronistica e insostenibile a fronte della nota importanza e consistenza della sua attività, rientrando per sua stessa ammissione tra gli undici più famosi portali di contenuti digitali del mondo», oltre che «smentita dagli accertamenti peritali in corso di causa» nei quali la «semplice piattaforma» di stoccaggio dati è risultata essere in realtà una «moderna impresa globale», un «aggregatore che organizza con diverse modalità e mette a disposizione degli utenti contenuti audiovisivi provenienti da diverse fonti».

Da segnalare, infine, che per la quantificazione del danno i giudici romani hanno applicato il criterio di stima del c.d. «prezzo del consenso». Esso va determinato «in riferimento al modello di business adottato dal titolare del diritto per stabilire quanto sarebbe stato disposto ad accettare per concederne l’uso»; tale valore è influenzato dal c.d. «controllo editoriale» e quindi dalla capacità del titolare dei diritti di regolare l’utilizzazione e le modalità di sfruttamento dell’opera.

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