Federico Viola, head of Asset Owners Solutions Southern Europe – Sector Solutions EMEA, State Street
Con l’introduzione del decreto 166 nel novembre 2014 le opzioni per i fondi pensione negoziali italiani sono aumentate considerevolmente, grazie ai nuovi criteri d’investimento e alla revisione dei limiti. In precedenza questi fondi erano soggetti a vincoli restrittivi che sono stati recentemente attenuati. L’espansione dell’universo investibile per i fondi pensione italiani consente loro di ampliare la gamma d’investimento nella misura in cui rimangono all’interno delle relative policy.
Sfortunatamente ciò non significa che gli schemi previdenziali italiani (incluse le Casse di Previdenza, anch’esse attualmente sotto esame da parte del regolatore) sono immuni dai problemi che devono affrontare i sistemi pensionistici pubblici e privati del resto del mondo.
Le pressioni sui costi derivanti dalla regolamentazione e dalla volatilità di mercato e la difficoltà di ottenere i risultati dovuta al persistente contesto di bassi tassi d’interesse comportano per tutti i fondi pensione – inclusi quelli italiani – una crescente ricerca di efficienza dal punto di vista dei costi nella gestione del portafoglio e delle passività.
Non sorprende il risultato della nostra ricerca, secondo la quale il 29% dei fondi pensione italiani intende trovare vie per il consolidamento e l’aggregazione di piani pensionistici multipli nel corso dei prossimi tre anni, dal momento che il 17% percepisce la riduzione dei costi come il principale beneficio. Tutto ciò è comprensibile alla luce del fatto che oltre un quarto (28%) degli intervistati ritiene di essere sotto pressione per ridurre i costi. Al tempo stesso il beneficio percepito più grande del consolidamento degli schemi pensionistici italiani (secondo il 30% degli intervistati) è la maggiore trasparenza e l’accesso a strumenti di gestione del rischio su un universo di investimento più complesso e diversificato.
Di fronte a crescenti pressioni sui costi e a persistenti rendimenti bassi e per lunghi periodi, i fondi pensione di tutto il mondo, in realtà, continuano a ricercare asset che offrono “rendimenti elevati” al fine di aiutarli a soddisfare gli impegni delle rispettive passività. Storicamente, gli alternativi sono spesso stati visti ricoprire questo ruolo.
La tendenza verso questo tipo di investimenti emergerà naturalmente nella misura in cui i fondi pensione si concentreranno sempre più sulla ricerca di asset che offrono rendimenti elevati e si sentiranno più a loro agio con classi di attivo complesse come gli alternativi. Per esempio, i fondi pensione italiani intervistati nella nostra ricerca hanno affermato che nei prossimi tre anni aumenteranno l’allocazione a fondi di fondi hedge, all’immobiliare e al private equity rispettivamente del 67%, 52% e 52%.
Nuove opportunità d’investimento – nate anche grazie al decreto 166 per i fondi pensione negoziali – come l’accesso a nuovi veicoli e classi di attivo spianano la strada ad una maggiore flessibilità e a un miglioramento della gestione del rischio, che a loro volta alimentano la necessità di una robusta politica di investimento e di un maggiore utilizzo di strumenti, quali la gestione del rischio di downside e il monitoraggio del rischio di cambio.
I fondi si trovano ora di fronte ad una seconda fase della loro evoluzione nel tentativo di diversificare le strategie d’investimento e ottenere risultati positivi in un contesto di bassi rendimenti per soddisfare le nuove richieste di funding interne e internazionali.
Inoltre, c’è un crescente bisogno di trovare il giusto bilanciamento tra competenze interne ed esterne, al fine di gestire investimenti più complessi e nel contempo mantenere bassi i costi.
I fondi pensione devono dotarsi delle competenze per padroneggiare i dati necessari a gestire le nuove strutture ed avere un maggiore controllo – al fine di fornire ai propri membri una fotografia chiara delle opportunità e dei rischi che si trovano di fronte.