Nel risarcimento diretto dei danni derivanti dalla circolazione stradale, il D.P.R. 18 luglio 2006, n. 254, art. 9, comma secondo, emanato in attuazione del d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209, art. 150, comma primo, il quale, per l’ipotesi di accettazione della somma offerta dall’impresa di assicurazione, esclude che siano dovuti al danneggiato i compensi di assistenza professionale diversi da quelli medico-legali per i danni alla persona, si interpreta nel senso che sono comunque dovute le spese di assistenza legale sostenute dalla vittima perché il sinistro presentava particolari problemi giuridici, ovvero quando essa non abbia ricevuto la dovuta assistenza tecnica e informativa dal proprio assicuratore, dovendosi altrimenti ritenere nulla detta disposizione per contrasto con l’art. 24 Cost., e perciò da disapplicare, ove volta a impedire del tutto la risarcibilità del danno consistito nell’erogazione di spese legali effettivamente necessarie – Cass. n. 11154/2015-.
La stessa pronuncia ha affermato che, per contro, sarà sempre irrisarcibile la spesa per compensi all’avvocato quando la gestione del sinistro non presentava alcuna difficoltà, i danni da esso derivati erano modestissimi, e l’assicuratore aveva prontamente offerto la dovuta assistenza al danneggiato, ed ha concluso che quindi il problema delle spese legali va correttamente posto in termini di causalità, ex art. 1223 c.c., e non di risarcibilità.
Alla luce di tali principi, non risulta corretta l’affermazione compiuta dal giudice di appello, secondo cui la disposizione del D.P.R. n. 254 del 2006, art. 9, escluderebbe in ogni caso la ripetibilità delle spese di assistenza legale sostenute nella fase stragiudiziale per avere volontariamente scelto di farsi assistere da un avvocato: tale affermazione sottende, infatti, una lettura della disposizione che, vietando tout court la risarcibilità del danno, si pone in contrasto con l’art. 24 Cost., e che impone la disapplicazione della norma regolamentare.
Cassazione civile sez. III, 19/02/2016 n. 3266