È stato un anno davvero super il 2015 per il settore del private equity e del venture capital italiano. Sono stati toccati livelli vicini ai record degli anni migliori su tutti i fronti, dalla raccolta agli investimenti e ai disinvestimenti. Lo hanno comunicato ieri Innocenzo Cipolletta e Anna Gervasoni, rispettivamente presidente e direttore generale di Aifi, l’Associazione che rappresenta i fondi di private equity, venture capital e private debt.
L’annuncio è stato dato nel corso del convegno annuale di Aifi, che si è svolto come sempre a Milano nella sede di Assolombarda e che ha visto la partecipazione in tavola rotonda anche di Fabrizio Pagani, capo della segreteria tecnica del ministero dell’Economia, Aldo Stanziale del dipartimento vigilanza finanziaria e bancaria di Banca d’Italia, e di Tiziana Togna, responsabile della divisione intermediari di Consob.
I dati, elaborati come sempre in collaborazione con PwC-Transaction Services, mostrano infatti investimenti in aumento sia per numero di operazioni (342, +10% dal 2014) sia per valore (4,620 miliardi, +31%), che ha raggiunto il secondo livello più alto di sempre dopo quello raggiunto nel 2008 a quota 5,458 miliardi. Un target ottenuto anche grazie al ritrovato interesse da parte degli investitori esteri: ben il 66% del controvalore investito è di matrice straniera.
Come di consueto, la parte del leone, tra gli investimenti, viene dalle operazioni di buyout, che hanno registrato un aumento in numero (101, +11%) e ammontare (3,255 miliardi, +49,2%). Bene anche le operazioni di early stage (122 deal per 74 milioni dai 106 deal e 43 milioni del 2014); in calo, invece, i deal di capitali per lo sviluppo (81 operazioni per 333 milioni, da 101 deal per 1,179 miliardi).
I fondi hanno lavorato parecchio anche sul fronte dei disinvestimenti, che sono aumentati del 10,3% in termini di controvalore (calcolato al costo di acquisto delle partecipazioni) a quota 2,903 miliardi, con una maggioranza di operazioni che ha visto come controparte acquirente un altro investitore finanziario. Poco più alto del dato 2014, invece, il numero dei disinvestimenti, che si è attestato a quota 178.
Ma il dato più eclatante è stato quello relativo alla raccolta, che ha visto un incremento di ben l’84,5% a 2,487 miliardi dagli 1,348 miliardi del 2014, per un numero di fondi in raccolta solo leggermente più alto rispetto all’anno prima (16 contro 15). I fondi pensione sono stati i grandi assenti, mentre le compagnie di assicurazione sono presenti ancora troppo poco.
In ogni caso in 30 anni di monitoraggio di dati (quest’anno Aifi compie appunto i 30 dalla fondazione), i fondi di private equity in Italia hanno investito circa 59 miliardi distribuiti su 8.200 operazioni. La gran parte dell’attività, però, si è concentrata a partire dal 2000. Da quell’anno, infatti, Aifi ha contato 5.500 investimenti dei fondi in Italia per 52 miliardi di controvalore, di cui ben 28 provenienti da operatori internazionali. Su questo totale, 1,8 miliardi hanno riguardato operazioni di seed e di early stage per un totale di 1.372 start-up finanziate. Sul fronte della raccolta, tra il 1986 e il 2015 la raccolta di fondi con focus sull’Italia è stata complessivamente di quasi 40 miliardi di euro, di cui 21,5 miliardi raccolti tra il 2000 e il 2015. Di questi capitali, 8,7 miliardi (cioè il 40%) sono arrivati da investitori esteri, una quota che è andata aumentando in maniera esponenziale negli ultimi due anni. L’anno scorso la quota di raccolta internazionale sul totale del fundraising è stata del 48%, nel 2014 era stata del 68,4%. Il dato precedente più alto è del 2007 (57,4%). (riproduzione riservata)
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