L’offerta dell’assicuratore per la responsabilità civile auto non ha portata cognitiva o ricognitiva di un fatto o di un rapporto preesistenti, quindi, non è una dichiarazione confessoria né di riconoscimento dell’importo del debito risarcitorio.
La legge distingue tra sinistri con soli danni a cose e sinistri con danni alla persona al fine di diversamente disciplinare i tempi e i modi della procedura stragiudiziale di liquidazione del danno e, di conseguenza, i tempi della mora dell’assicuratore e della proponibilità della domanda giudiziale
Non è corretto in diritto l’assunto del ricorrente secondo cui il D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, art. 148 -Codice delle assicurazioni private- – nel testo vigente prima delle sostituzioni apportate con il D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, nella L. 24 marzo 2012, n. 27 – distinguerebbe tra danni patrimoniali, al primo comma, e danni non patrimoniali, al comma 2.
La distinzione è, piuttosto, tra sinistri con soli danni a cose, previsti nel comma 1, e sinistri che abbiano causato lesioni personali o il decesso, previsti nel comma 2.
Mentre i danni causati dai primi hanno natura patrimoniale, i danni causati dai secondi non hanno soltanto natura non patrimoniale – come sembra presupporre il ricorrente – ma possono avere sia tale natura che natura patrimoniale.
Si ha questa seconda eventualità quando il danno alla persona abbia provocato un’immediata lesione del suo patrimonio.
Per restare al caso di specie, tra le voci in contestazione, ha indubbiamente natura patrimoniale il danno che il ricorrente e la sentenza impugnata qualificano come danno da lucro cessante, che viene identificato nel danno da effettiva riduzione del reddito in conseguenza del sinistro e che è causato dalla riduzione o dalla perdita della c.d. capacità lavorativa specifica -che può essere temporanea o permanente-; hanno inoltre natura di danno patrimoniale -emergente-, le spese mediche e le spese di cura, con l’assistenza di una badante.
Tutte queste voci di danno -già prodottosi ovvero futuro- ineriscono alla persona in quanto prospettate come conseguenza delle lesioni personali sofferte dal danneggiato; sono pertanto danni alla persona di natura patrimoniale.
Sono, invece, danni a cose di natura patrimoniale quelli relativi al veicolo coinvolto nel sinistro.
La legge distingue tra sinistri con soli danni a cose -art. 148, comma 1- e sinistri con danni alla persona -art. 148, comma 2- al fine di diversamente disciplinare i tempi ed i modi della procedura stragiudiziale di liquidazione del danno e, di conseguenza, i tempi della mora dell’assicuratore e della proponibilità della domanda giudiziale di cui all’art. 145, comma 1, dello stesso codice delle assicurazioni.
Poiché questi tempi e questi modi non sono in contestazione, non ha alcun senso, nel caso di specie, distinguere tra offerta concernente i danni al veicolo ed offerta concernente i danni alla persona. E ciò anche in ragione del fatto che l’attore ha agito in giudizio per il risarcimento di tutti i danni provocati dal sinistro, avendo rifiutato l’offerta anche perché effettuata nel supposto concorso di colpa del danneggiato.
Nella specie, configurandosi l’ipotesi contemplata dal comma 4 -sinistro che abbia determinato sia danni a cose che lesioni personali-, l’art. 148 è stato rispettato da parte dell’impresa di assicurazione mediante la comunicazione di un’unica offerta, nei tempi di legge, cui è seguito regolare pagamento.
Ma è da escludere che la distinzione tra danni a cose e danni alla persona rilevi al fine di attribuire all’una e/o all’altra delle relative offerte valore confessorio o di riconoscimento di debito, come sostiene il ricorrente.
L’art. 148 non attribuisce all’offerta dell’impresa di assicurazione questo valore nè configura la stessa come vincolante, in danno dell’assicuratore, nel successivo giudizio instaurato dal danneggiato che non abbia accettato l’offerta in sede stragiudiziale.
È sufficiente qui ribadire che una dichiarazione è qualificabile come confessione ove sussistano un elemento soggettivo, consistente nella consapevolezza e volontà di ammettere e riconoscere la verità di un fatto a sé sfavorevole e favorevole all’altra parte, e un elemento oggettivo, che si ha qualora dall’ammissione del fatto obiettivo, il quale forma oggetto della confessione escludente qualsiasi contestazione sul punto, derivi un concreto pregiudizio all’interesse del dichiarante e, al contempo, un corrispondente vantaggio nei confronti del destinatario della dichiarazione.
A sua volta, la ricognizione di debito, che pure non ha natura confessoria, presuppone la -pre-esistenza di un rapporto che costituisca la fonte dell’obbligazione, presumendola fino a prova contraria.
L’offerta dell’assicuratore per la responsabilità civile auto non ha portata cognitiva o ricognitiva di un fatto o di un rapporto preesistenti, quindi, non è una dichiarazione confessoria né di riconoscimento dell’importo del debito risarcitorio.
A prescindere, infatti, dalla più limitata portata di riconoscimento del diritto del danneggiato quanto all’an debeatur – che potrebbe esserle attribuita ai fini interruttivi della prescrizione ex art. 2944 cod. civ. – la comunicazione di un’offerta congrua presuppone un’attività valutativa dell’esistenza e dell’entità dei danni risarcibili che non può mai essere oggetto né di confessione né di riconoscimento di debito.
Si è discusso in dottrina della qualificazione come promessa di pagamento dell’offerta dell’assicuratore -in specie in riferimento all’offerta di cui al D.L. n. 857 del 1976, art. 3-.
È orientamento prevalente quello secondo cui, nell’attuale sistema normativo, la promessa di pagamento, che pur è una dichiarazione di volontà -e non di scienza-, non valga, di norma, quale fonte autonoma di obbligazione, avendo come unico effetto quello dell’astrazione processuale dalla causa debendi.
Essa può avere effetto costitutivo di un vincolo obbligatorio nei soli casi previsti dalla legge, per come sancito dall’art. 1987 cod. civ.
Orbene, il codice delle assicurazioni pone l’obbligo all’assicuratore di comunicare l’offerta ovvero di comunicare specificamente i motivi per i quali non ritiene di farla. Quando avanzata, l’offerta è fonte dell’obbligazione di pagare la somma ivi indicata, ma soltanto allo scopo di pervenire alla liquidazione stragiudiziale del danno.
La norma dell’art. 148, invece, non consente di applicare l’art. 1988 cod. civ. nel giudizio risarcitorio che faccia seguito al fallimento della procedura stragiudiziale di liquidazione.
La mancata accettazione dell’offerta da parte del danneggiato non determina nel processo da questi instaurato per ottenere il risarcimento dei -maggiori- danni alcuna astrazione processuale né alcuna inversione dell’onere della prova.
Questo effetto non è previsto espressamente, non è desumibile da alcun indice normativo ed, anzi, come si dirà, va escluso per quanto stabilito dall’ultimo inciso del comma 7, richiamato altresì dal comma ottavo.
Le previsioni dell’art. 148 che, secondo il ricorrente, fornirebbero supporto alla sua tesi vanno reputate espressione soltanto della ratio che sta a fondamento della procedura stragiudiziale di liquidazione dei danni.
Così è a dirsi in primo luogo per gli obblighi del danneggiato e dell’impresa, su cui si sofferma a lungo il ricorso. Questi obblighi sono dettagliatamente regolati dall’art. 145 e dai primi cinque comma dell’art. 148 al fine di consentire alla seconda di avanzare un’offerta il più possibile idonea a risarcire tutti i danni sofferti dal primo, entro termini ragionevoli.
Nello stesso senso vanno le previsioni dei comma 10 -obbligo di segnalazione all’ISVAP per offerte non congrue, tali dovendosi intendere quelle inferiori alla metà di quanto liquidato- ed 11 -pagamento da parte dell’assicurazione dei compensi ai professionisti incaricati dal danneggiato per l’assistenza prestata stra/giudizialmente-, pure richiamate in ricorso.
Questa seconda norma è finalizzata a tutelare il danneggiato, consentendogli di distinguere tra il risarcimento dei danni ed il -dovuto- rimborso delle competenze spettanti a terzi.
La norma del comma 10 è volta a sanzionare l’assicuratore, che, col suo comportamento negligente nella formulazione dell’offerta, risultata incongrua, abbia provocato l’instaurazione del giudizio, così frustrando la ratio legis.
Quest’ultima pertanto non è affatto quella di favorire comunque il danneggiato, agevolando la sua difesa nel giudizio risarcitorio, ma piuttosto quella – contrapposta – di evitare che il danneggiato agisca giudizialmente per il risarcimento e, comunque, di impedire la mora dell’assicuratore diligente, che dia comunicazione di un’offerta congrua, cui faccia seguire il pagamento.
Soltanto a questo pagamento, peraltro, e non anche alla comunicazione dell’offerta, può essere riconosciuta la natura di -vera e propria- offerta non formale, con gli effetti dell’art. 1220 cod. civ. quando non vi sia stata accettazione.
Il legislatore con l’imposizione della procedura di liquidazione stragiudiziale, a pena di improponibilità della domanda giudiziale, persegue non solo lo scopo di deflazione del contenzioso giudiziario, ma anche quello di tutelare l’interesse del danneggiato a ottenere il risarcimento integrale dei danni subiti dal sinistro.
Gli artt. 145 e 148 hanno comportato la trasposizione nel codice delle assicurazioni delle norme su richiamate, in modo che, dopo la sua entrata in vigore, è obbligatorio il sistema c.d. della congrua offerta, in precedenza previsto come facoltativo.
Per tale sistema, come pure osserva il ricorrente, l’assicuratore è obbligato a formulare un’offerta congrua, cioè idonea all’esatto adempimento dell’obbligazione risarcitoria.
Detto ciò – ed in tal senso corretto il cenno che la sentenza impugnata fa allo scopo transattivo dell’offerta – poco rileva la querelle – che fa da sfondo ad una serie di argomenti di cui si avvale il ricorrente – sulla possibilità, che, nell’attuale contesto normativo, le parti si facciano reciproche concessioni ed addivengano ad un accordo transattivo, come si è ammesso nel sistema previgente.
Qualora il danneggiato non abbia accettato l’offerta dell’assicuratore, non ha più rilevanza la qualificazione di questa in termini di proposta transattiva ovvero di promessa di pagamento.
Gli unici effetti dell’offerta non accettata sono quelli previsti dall’art. 148 ai comma 7 e 8: obbligo del pagamento in capo all’assicuratore ed imputazione della somma corrisposta nella liquidazione definitiva del danno.
La previsione per la quale la somma in tal modo corrisposta è imputata nella liquidazione definitiva del danno -cfr. art. 148, comma settimo, richiamato dall’ottavo- esclude qualsivoglia rilevanza processuale dell’offerta dell’assicuratore.
Il legislatore non considera l’offerta non accettata, bensì il pagamento -obbligatorio- della somma complessivamente corrisposta ed attribuisce a questo pagamento una funzione anticipatoria della liquidazione definitiva del danno, che si avrà in sede processuale.
Nel giudizio introdotto dal danneggiato per siffatta liquidazione, non si dibatte dell’offerta e della sua congruità, bensì esclusivamente dell’evento dannoso e della sua imputabilità all’assicurato, secondo le regole della responsabilità extracontrattuale.
In sede contenziosa, le parti rivestono la posizione, processuale e sostanziale, di attore, il danneggiato, e di convenuto, l’assicuratore, gravando sul primo gli oneri di allegazione e di prova di ogni parte attrice, ivi compreso l’onere di provare l’esistenza e l’entità dei danni risarcibili.
In conclusione, va affermato che, in tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, la comunicazione dell’offerta dell’impresa di assicurazione ai sensi del D.Lgs. 7 settembre 2005 n. 209 art. 148, non accettata dal danneggiato, ed il pagamento della somma offerta non esonerano il danneggiato, che agisca in giudizio – per il risarcimento dei danni, a cose e/o alla persona, causati dal medesimo sinistro – dagli oneri di allegazione e di prova che incombono sull’attore.
Il pagamento effettuato prima del giudizio, in caso di mancata accettazione dell’offerta, comporta che sia impedita la mora dell’impresa di assicurazione e che la somma già corrisposta sia imputata nella liquidazione definitiva del danno. L’imputazione va fatta, all’esito della liquidazione giudiziale, sull’importo complessivamente riconosciuto come spettante al danneggiato, non distinguendo tra le singole voci di danno ed imputando tutta intera la somma corrisposta, senza tenere conto dei criteri seguiti dall’impresa per la sua determinazione.
In sintesi, il pagamento della somma offerta, e non accettata, ai sensi dell’art. 148 codice delle assicurazioni funziona come un acconto, da imputare nella liquidazione definitiva del danno secondo i criteri contabili applicabili a quest’ultimo.
Corollari dei principi appena enunciati sono che il danneggiato che agisca in giudizio per ottenere il risarcimento di tutti i danni provocati dal sinistro:
– non possa dare per accettata l’offerta soltanto in parte, riconoscendo cioè come congrua la stessa per alcune voci di danno e non per altre, al fine di ritenersi esentato dall’onere di provare i danni corrispondenti alle voci non contestate;
– non possa dare per accettata l’offerta quanto alla liquidazione dei danni ivi effettuata su base concorsuale, agendo al solo fine di escludere il concorso di colpa, sì da ridurre il proprio onere di allegazione e di prova all’an della responsabilità, ritenendosi esentato dall’onere di provare i danni risarcibili.
Qualora la somma corrisposta dall’impresa di assicurazione ai sensi dell’art. 148, commi 7 e 8 del codice delle assicurazioni, sia superiore a quella complessivamente liquidata in sentenza per i danni riconosciuti in via definitiva, compresi rivalutazione ed interessi, il danneggiato può essere condannato con la stessa sentenza alla restituzione della differenza soltanto se l’impresa di assicurazione abbia avanzato, nel giudizio risarcitorio da quegli instaurato, apposita tempestiva domanda riconvenzionale.
Una volta che la parte danneggiata non abbia accettato l’offerta stragiudiziale della compagnia assicuratrice, questa offerta rende obbligatorio il pagamento della somma, ma non ha valore a fini processuali, salvo che per l’imputazione del pagamento prevista dai commi settimo e ottavo dello stesso art. 148 -e salvi i profili sanzionatori riguardanti l’offerta non congrua di cui al decimo comma-.
Il danneggiato che agisca in giudizio non assolve agli oneri su di lui incombenti qualora si limiti a richiamare l’offerta stragiudiziale, anche per la parte in cui la riconosca come congrua, ma dovrà dedurre e provare l’esistenza dei pregiudizi, patrimoniali e non patrimoniali, di cui chiede il risarcimento, nonché, il nesso causale tra questi ultimi ed il sinistro.
L’onere di contestazione dell’impresa convenuta va riferito ai fatti posti dall’attore a fondamento di tutte quante le sue pretese risarcitorie; l’attore è esonerato dall’onere della prova soltanto qualora le sue allegazioni, in punto di danni e di nesso eziologico, non siano contestate dalla compagnia di assicurazione convenuta, alla stregua del principio di non contestazione, come sopra inteso.
Cassazione civile sez. III, 27/11/2015 n. 24205