Pagina a cura di Valerio Stroppa 

Uomo, laureato, di età compresa tra i 31 e i 40 anni e con un’esperienza lavorativa di 3-5 anni alle spalle. È questo l’identikit del «fraudster», ossia del soggetto che pone in essere frodi aziendali. Un fenomeno che in Italia colpisce un’impresa su cinque. L’illecito di gran lunga più ricorrente è l’appropriazione indebita (70% dei casi). E dopo un altro «classico» tra i crimini societari, rappresentato dalla corruzione (23%), inizia a farsi largo sempre più frequentemente il cybercrime, ossia l’insieme dei reati che colpiscono i dati riservati e la violazione di contenuti e dei diritti d’autore. È quanto emerge dalla Crime Survey 2016 realizzata da PwC, che ha raccolto oltre 6.300 interviste in 115 paesi, coinvolgendo anche 142 imprese italiane.

Rispetto all’edizione 2014 della ricerca, l’Italia fa segnare un leggero calo delle frodi denunciate (due anni fa le aziende vittime erano il 23%, oggi il 21%), restando comunque ben al di sotto della media mondiale (36%). Ma se si riducono gli episodi in valore assoluto, cresce al contempo il costo finanziario delle frodi. Secondo il 27% del campione italiano la perdita derivante dall’illecito supera il milione di euro, contro il 14% registrato a livello globale. Nel 7% dei casi il danno varia addirittura tra i 5 e i 92 milioni. Le frodi di maggiore entità si registrano nel crimine informatico, considerato da circa un terzo degli intervistati un problema sempre più rilevante in ottica futura.

A fronte di rischi crescenti, gli strumenti di difesa messi in campo dalle società sembrano faticare a stare al passo. Solo quattro aziende su dieci, sottolinea il rapporto, dispongono di personale addestrato contro i reati informatici, mentre un altro 20% del campione ha delegato in outsourcing l’attività di sicurezza It. In totale, il 53% delle aziende italiane coinvolte ha attivato un piano di prevenzione contro le frodi informatiche (a livello globale il 37%).

Sotto il profilo settoriale, il comparto maggiormente colpito dalle frodi nel mondo si è rivelato il segmento finanziario (52% dei casi, contro il 45% del 2014), seguito da telecomunicazioni (44%), chimico (34%), farmaceutico (31%), assicurativo (29%) ed enti pubblici (29%). Un quadro leggermente diverso da quello riscontrato in Italia per quanto riguarda le frodi «tradizionali» (ossia diverse da quelle via web), dove il settore incappato nel maggior numero di episodi si rivela quello energetico e delle utilities (50%), seguito da finanza (35%), manifattura (17%) e libere professioni (11%).

La corruzione rimane uno dei fenomeni più trasversali a livello geografico. L’indice 2015 di Transparency International, relativo alla corruzione «percepita», colloca l’Italia al 61° posto nel mondo, in salita di otto posizioni rispetto al ranking globale dell’anno precedente (69°), con un punteggio in lieve miglioramento (da 43/100 a 44/100). A livello europeo, però, l’Italia è penultima, seguita soltanto dalla Bulgaria.

Secondo il rapporto PwC, le aziende italiane che hanno dichiarato di essere state vittime della corruzione sono il 23%, in netta crescita rispetto al 13% del 2014 e al 10% del 2011. A queste si aggiunge un altro 13% di soggetti che afferma di aver perso un’opportunità commerciale probabilmente colta da altri concorrenti a seguito del pagamento di una tangente, più un ulteriore 6% che ha dichiarato di aver ricevuto la richiesta di una «mazzetta».

Un fenomeno dilagante che richiede misure straordinarie, dal momento che, prosegue il rapporto, solo il 47% dei soggetti ha intercettato l’evento fraudolento attraverso il sistema di controllo interno (17% tramite internal audit, 17% tramite analisi dei dati, 10% con sistemi di fraud risk e 3% tramite security aziendale). Faticano ancora a decollare il whistleblowing, le soffiate interne o esterne alle procedure aziendali. Rispetto al 35% dell’edizione 2014, i «segnalatori» si sono fermati al 13%. Un dato che pone l’Italia in controtendenza rispetto ai principali paesi europei e alla media globale, ma il trend potrebbe invertirsi nel breve periodo grazie alle recenti modifiche nazionali. «Grazie anche alle linee guida dell’Anac (Autorità nazionale anticorruzione) e alle nuove disposizioni normative introdotte dal governo, gli strumenti del whistleblowing assumono un’importanza fondamentale nella lotta ai crimini economico-finanziari», osserva Alberto Beretta, partner forensic di PwC, «tuttavia, dai risultati emersi, risulta che si può fare ancora molto: infatti i casi di frode segnalati in Italia tramite il whistleblowing sono solo il 3%, probabilmente perché a livello italiano il whistleblower non si sente ancora sufficientemente tutelato. Al momento le segnalazioni avvengono ancora in prevalenza tramite i canali tradizionali (per esempio lettere anonime)». A livello mondiale whistleblowing e soffiate hanno invece consentito di individuare le frodi nel 22% dei casi.

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