Crescono le domande di welfare nel Lazio, ma è ancora lenta l’integrazione fra i diversi strumenti di protezione sociale: pubblici, del non profit, assicurativi e privati. Gran parte del carico assistenziale ricade quindi sulle spalle delle istituzioni e delle famiglie, le cui risorse finanziarie, al contrario, tendono a diminuire. E’ pertanto indispensabile dare maggiore impulso a un welfare integrato che sappia combinare istituzioni, sviluppo economico e reti territoriali.
Sono queste le principali conclusioni a cui è giunto lo studio realizzato dal Censis per il Consiglio Regionale Unipol nell’ambito del Programma poliennale Welfare Italia, presentato oggi a Roma dal Presidente del CRU Lazio Claudio Di Bernardino e Giuseppe Roma, senior advisor della Fondazione Censis e discusso dal Presidente di Unipol Pierluigi Stefanini, dal Presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti e da esponenti delle istituzioni, delle forze sociali e delle imprese laziali.
Nei prossimi 15 anni la popolazione del Lazio supererà i 6 milioni di residenti, ma soprattutto aumenterà l’incidenza della popolazione con piu’ di 65 anni dall’attuale 20,5% al 24,8%, e in particolare, nel 2030, gli anziani supereranno di oltre 200mila unità i giovani fra 15-34 anni. Questa situazione pone problemi di sostenibilità al sistema sanitario e assistenziale, rendendo sempre più urgente l’adeguamento dei loro modelli di gestione. Inoltre, anche sotto questo profilo, si pone il problema di accelerare nelle politiche di sviluppo, perche’ nella regione vi sia più occupazione e più reddito.
La dimensione lavoro tiene, anche se in peggioramento nell’ultimo periodo, ma con tassi d’occupazione troppo bassi, pari al 63% rispetto al 72% dell’Ile de France e della regione di Berlino e al 67% di quella di Madrid. Anche nel confronto con le altre Regioni dell’Italia Centrale si rilevano situazioni di maggior disagio: il 17,7% della popolazione laziale è a rischio di povertà, contro un valore medio del Centro pari al 15%. Tali condizioni reddituali portano i cittadini laziali a collocare ai primi posti nella lista delle loro preoccupazioni, unitamente al timore di non riuscire più a risparmiare (81,2%), il mantenimento del tenore di vita e la capacità di far fronte alle spese sanitarie (entrambi per ben il 71% degli intervistati). Anche a causa di tali paure il 33,2% ha rinunciato a cure mediche, qualche punto percentuale in piu’ rispetto alla media nazionale del 31,3%.
Pagare nel privato, ma senza organizzazione. Il funzionamento della sanità regionale è giudicato buono dal 42,7% dei romani, valore leggermente superiore rispetto alla media nazionale pari al 41,7%. Di segno opposto il giudizio dei residenti nelle altre province, dove i pareri positivi riguardano il 20,1%. Inoltre, il 79,1% delle famiglie che hanno avuto bisogno di cure negli ultimi due anni, a causa delle lunghe liste d’attesa, si è rivolto alla sanità privata. Una spesa che grava sui cittadini, senza significativi recuperi fiscali e, soprattutto, senza un’adeguata organizzazione e intermediazione che ne possa massimizzare l’efficacia.
Nessuna strategia per i rischi futuri. Ben il 56,4% dei laziali, atteggiamento comune a molti italiani, dichiara che penserà a cosa fare nel momento in cui si materializzeranno i rischi relativi a salute, non autosufficienza e pensionistici. Un ulteriore 24,4% fa esclusivo affidamento sul welfare pubblico, il 21,3% sui risparmi, il 6,2% sull’aiuto familiare e il 6% su coperture assicurative.
Una maggiore attenzione per strumenti innovativi. Nonostante non sia ancora generalizzata una cultura della prevenzione dei rischi, il 41,5% dei romani e il 54,5% dei residenti nelle altre province si dichiarano interessati a strumenti integrativi in campo sanitario ove questi coprano l’intero nucleo familiare, rendano possibile la riduzione dei tempi d’attesa e ove le assicurazioni o i fondi valutino e garantiscano la qualità delle strutture sanitarie utilizzabili. In particolare il 56,7% trova interessanti le assicurazioni sanitarie per le visite specialistiche, il 25,3% per la diagnostica, il 24,7% per l’odontoiatria. Per quanto riguarda le forme di integrazione pensionistica la quota degli interessati scende al 18,9%.