Di Gigi Giudice
“Terrorismo e crisi finanziarie. Cernobyl. il clima impazzito e la manipolazione genetica. Tutto rivela una discrepanza fra la realtà e il nostro modo di interpretarla. Senza una lingua per il futuro viviamo in una società mondiale del rischio.”
E’ il testo che figura sulla copertina de “Un mondo a rischio”, edito in Italia da Einaudi nel 2003, riprendendo il discorso che Ulrich Beck aveva tenuto alla Duma di mosca nel 2001.
Ulrick Beck, filosofo e sociologo all’Università di Monaco di Baviera e alla Londo School of Economics, è mancato, vittima di un infarto, la sera del primo dell’anno. Aveva settant’anni e i suoi saggi e interventi sulle evoluzioni e le derive della contemporaneità sono tradotti in tutto il mondo.
Si era fatto conoscere ed era stato preso come punto di riferimento su scala internazionale con il saggio “La Società del rischio”, edito in Germania nel 1986 ( pubblicato in Italia, da Carocci editore solo nel 2000).
“Società del rischio”, “seconda modernità” (o modernità riflessiva) e “individualizzazione” sono i concetti fondamentali su cui si articola il pensiero di Beck.
Secondo cui ci troviamo a vivere in una società in cui al pericolo di tipo naturale o extra-sociale si affianca, in termini preponderanti, il “rischio” connesso alle stesse scelte sociali. In primis quelle di carattere scientifico-tecnologiche. Di modo che il rischio viene istituzionalizzato e dato per scontato. Addirittura integrato nelle attività quotidiane.
Il concetto di “seconda modernità” significa – secondo Beck – l’autotrasformazione della società industriale secondo le sue stesse logiche con la sola forza delle “conseguenze secondarie” del processo di modernizzazione stesso.
Con individualizzazione si indica, contemporaneamente, una dissoluzione di forme di vita sociale precostituite (come la classe, il clero, la famiglia) e l’incombere sul singolo individuo di nuove pretese istituzionali, controlli e costrizioni. Che tuttavia portano l’individuo stesso a condurre una vita propria, includendo tali direttive nella propria vita, attraverso l’azione. Ovvero l’individuo è spinto a trovare soluzioni biografiche a contraddizioni sistemiche.
La «società del rischio» nella quale ci troviamo a vivere è una sospesa tra un passato irrimediabilmente perduto e un futuro avvertito come minaccia, che – in larga misura – ha perso la fiducia nel potere della razionalità. Conseguentemente si trova esposta al pericolo di cadere preda di una diffusa e paralizzante «cultura della paura».
Beck ci ha lasciato anche qualche speranza, affermando la necessità, per l’uomo, di avere “radici e ali”, scoprendo la green economy che è in ognuno di noi.
Nei più recenti articoli e nel libro “Europa tedesca e la nuova geografia del potere” (pubblicato da Laterza editore nel 20013) il sociologo tedesco afferma che ai rigurgiti populistici di questi anni che percorrono l’europa si deve risondere con un più forte impegno politico finalizzaro al rafforzamento dell’unione europea e all’abbandono delle politiche di austerità.
“Ci mancherà – ha scritto Zygmunt Bauman – il suo contributo alla nostra coscienza, la sua insaziabile curiosità, la sua predisposizione a quella che gli antichi chiamavano parresia: a rendere conto dei risultati delle sue ricerche senza cercare giustificazioni né scendere a compromessi, con libertà, fierezza e candore, attenendosi alla coscienza, giudice supremo dei comportamenti umani e guida sicura nella ricerca della verità.”