Con la sentenza n. 1361 del 23 gennaio 2014, la Corte di Cassazione ha affermato il principio secondo il quale deve ritenersi risarcibile iure haereditario il danno da perdita della vita immediatamente conseguente alle lesioni riportate a seguito di un incidente stradale.
Tale sentenza si pone in consapevole contrasto con la precedente giurisprudenza, che più volte ha avuto modo di pronunciarsi in senso opposto.
In particolare, la pronuncia n. 6754/2011, nella scia di una risalente giurisprudenza di legittimità (Cass. ss.uu. n. 3475 del 1925, cui, nel tempo, si sarebbero conformate, tra le tante, Cass. n. 2654 del 2012 e n. 13672 del 2010), aveva affermato il principio di diritto della irrisarcibilità per via ereditaria del danno da morte immediata.
Il principio era stato espressamente posto a fondamento della decisione n. 372 del 1994 della Corte Costituzionale, che aveva escluso profili di illegittimità costituzionale dell’art. 2043 codice civile, in relazione al c.d. “danno biologico da morte”, in dipendenza del “limite strutturale della responsabilità civile, nella quale sia l’oggetto del risarcimento che la liquidazione del danno devono riferirsi non alla lesione per se stessa, ma alle conseguenti perdite a carico della persona offesa“.
La giurisprudenza si è poi spinta, in tempi più recenti, ad affermare la trasmissibilità agli eredi del diritto al risarcimento del danno non patrimoniale consistito nella sofferenza morale provata tra l’infortunio e la morte solo se, in tale periodo di tempo, la persona sia rimasta lucida e cosciente;
La questione venne esaminata nella decisione n. 26972 del 2008, con la quale le Sezioni unite, chiamate a dare risposta a un coacervo di quesiti – posti dall’ordinanza di rimessione n. 4712 del 2008 – inerenti alla complessa materia della liquidazione del danno non patrimoniale, ebbero modo di affermare che la costante giurisprudenza di legittimità, da una parte, nega, nel caso di morte immediata o intervenuta a breve distanza dall’evento lesivo, il risarcimento del danno biologico per le perdita della vita, e d’altra parte lo ammette per la perdita della salute solo se il soggetto sia rimasto in vita per un tempo apprezzabile, ed a questo lo commisura, osservando poi come venga in considerazione il tema della risarcibilità della sofferenza psichica, di massima intensità anche se di durata contenuta, nel caso di morte che segua le lesioni dopo breve tempo: sofferenza che, non essendo suscettibile di degenerare in danno biologico, in ragione del limitato intervallo di tempo tra lesioni e morte, non può che essere risarcita come danno morale, nella sua nuova più ampia accezione, e concludendo che, d’altra parte, non può in questa sede essere rimeditato il richiamato indirizzo giurisprudenziale, non essendosi manifestato un argomentato dissenso;
Sul tema del danno da morte immediata (il tema, cioè, in relazione al quale le sezioni unite avevano escluso la possibilità di rimeditare il costante indirizzo giurisprudenziale della Corte in assenza di un argomentato dissenso), una recente sentenza (la n. 19133/2011) ha affermato il principio che quando all’estrema gravità delle lesioni segua, dopo un intervallo di tempo brevissimo [….], la morte, non può essere risarcito il danno biologico “terminale” connesso alla perdita della vita come massima espressione del bene salute, ma esclusivamente il danno morale, dal primo ontologicamente distinto, fondato sull’intensa sofferenza d’animo conseguente alla consapevolezza delle condizioni cliniche seguito al sinistro;
Con ampia e articolata motivazione, la pronuncia n. 1361/2014, dopo un lungo excursus, è pervenuta, dunque, ad una diversa conclusione, sulla premessa secondo la quale “la perdita della vita non può lasciarsi, invero, priva di tutela (anche) civilistica”, poiché “il diritto alla vita è altro e diverso dal diritto alla salute”, così che la sua risarcibilità “costituisce realtà ontologica ed imprescindibile eccezione al principio della risarcibilità dei soli danni conseguenza”;
Tale decisione, facendo proprie talune indicazioni provenienti da quella parte della dottrina che, a vario titolo e con disparate argomentazioni, ritiene risarcibile il danno c.d. tanatologico, ha così inteso superare il criterio della individuazione di un adeguato periodo di lucidità e di coscienza nella vittima del sinistro ai fini dell’acquisizione al suo patrimonio di un diritto trasmissibile iure successionis;
Il contrasto di giurisprudenza così generatosi, e la concorrente particolare importanza della questione ha indotto, pertanto, il collegio a rimettere gli atti del procedimento al Primo Presidente perché valuti l’esigenza di investire le Sezioni unite, al fine di definire e precisare per imprescindibili ragioni di certezza del diritto il quadro della risarcibilità del danno non patrimoniale già delineato nel 2008, alla stregua degli ulteriori contributi di riflessione, tra loro discordanti, offerti dalla sezione semplice sul tema del diritto della risarcibilità iure haereditario del danno da morte immediata.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 4 marzo 2014 n. 5056