La Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato la Svizzera per aver impedito a un lavoratore ammalato ex esposto all’amianto di ricorrere contro il suo datore di lavoro perché decorsi i termini di prescrizione (che la normativa elvetica fissa a dieci anni). I giudici di Strasburgo hanno ravvisato la violazione del diritto dell’uomo – che, a contatto con l’amianto sul luogo di lavoro tra gli anni Sessanta e Settanta, aveva sviluppato la malattia asbesto-correlata solo nel 2004 – a un equo processo, come stabilito dalla Convenzione europea. La decisione della Corte ora potrebbe aprire la strada a moltissime richieste analoghe al caso svizzero.
Hans Moor, esposto all’amianto dal ’65 al ’78 e morto nel 2005. Hans Moor operaio, dal 1965 al 1978 era stato esposto all’amianto, la micidiale fibra killer i cui effetti sulla salute dell’uomo – come è ormai noto – iniziavano a venire alla luce già negli anni Settanta e che in Svizzera sarà messa al bando nel 1989. A Moor fu diagnosticato un mesotelioma pleurico maligno causato dall’esposizione all’asbesto nel maggio del 2004. Il lavoratore svizzero morì nel 2005. Dunque, secondo la legge elvetica l’esposizione all’amianto era cessata dal 1978 e da quel momento iniziava a decorrere la prescrizione: ragione per cui l’eventuale causa contro l’ex datore di lavoro avrebbe potuto essere intentata soltanto entro il 1988.
Decisivo per i giudici “il periodo di latenza”. La Corte ha evidenziato, però, che il periodo di latenza di alcune malattie – come quelle amianto-correlate – può essere di diversi decenni, quindi fissare la prescrizione in dieci anni dal momento dell’ultima contaminazione significa, di fatto, impedire a molti lavoratori di richiedere i danni. Secondo i giudici, invece, nel calcolo della prescrizione si deve tenere conto della presenza di prove scientifiche che dimostrino che la persona malata non poteva sapere di essere affetta da una certa patologia prima di un dato momento. E questo è proprio il caso di Moor. I giudici di Strasburgo hanno, quindi, condannato la Svizzera a pagare 12.180 euro ai familiari della vittima, più 9000 euro di spese legali. Ma la Confederazione elvetica ha ancora tre mesi per fare ricorso alla Gran camera della Corte.
“Valutare con attenzione i dati epidemiologici e di ricerca”. “Al di là dei riflessi giudiziari, questa notizia pone di nuovo il tema del rapporto fra dati epidemiologici e sistema di tutela dei diritti dei lavoratori, più in generale dei cittadini – osserva Alessandro Marinaccio primo ricercatore Inail e responsabile del ReNam – Recentemente, con sempre maggiore evidenza, emerge la centralità dei dati epidemiologici per le scelte di sanità pubblica e per la definizioni dei diritti di welfare. La conseguenza è che è necessario prestare la massima attenzione alla solidità dei risultati epidemiologici e di ricerca prodotti e pubblicati, e le risorse adeguate per garantirla”. Inoltre, per quanto attiene esclusivamente ai profili assicurativi – conclude Marinaccio – “per certo in Italia la richiesta di riconoscimento di malattia professionale ai fini dell’indennizzo non prevede per le malattie neoplastiche (e quindi anche per i casi di tumore amianto correlato) nessun periodo oltre il quale non è più possibile fare domanda. Non esiste, quindi, un tempo di prescrizione e questo è certamente un punto di forza del sistema italiano”.
Fonte: INAIL