Ai fini della configurabilità del nesso causale tra un fatto illecito e un danno di natura psichica non è necessario che quest’ultimo si prospetti come conseguenza certa e inequivoca dell’evento traumatico, ma è sufficiente che la derivazione causale del primo dal secondo possa affermarsi in base a un criterio di elevata probabilità, e che non sia stato provato l’intervento di un fattore successivo tale da disconnettere la sequenza causale così accertata. Quanto alla prova, occorre ribadire che la morte di una persona cara costituisce di per sè un fatto noto dal quale il giudice può desumere, ex art. 2727 c.c., che i congiunti dello scomparso abbiano patito una sofferenza interiore tale da determinare un’alterazione della loro vita di relazione e da indurli a scelte di vita diverse da quelle che avrebbero altrimenti compiuto, sicchè nel giudizio di risarcimento del relativo danno non patrimoniale incombe al danneggiante dimostrare l’inesistenza di tali pregiudizi.
Cassazione civile sez. III, 22 novembre 2013 n. 26237