La stagione balneare li vede protagonisti. Tante le situazioni improvvise da fronteggiare e i casi di pericolo a cui dover far fronte. In Italia, secondo l’ultimo rapporto sull’annegamento e i pericoli della balneazione dell’Istituto superiore di sanità (Iss), gli annegamenti sono circa 400 all’anno, in calo comunque rispetto al passato. Tra i fattori che spiegano la diminuzione della mortalità c’è la costante sorveglianza sulle spiagge, che nei mesi estivi diventa fondamentale. In agosto, infatti, raddoppiano gli infortuni muscolari occorsi ai bagnini, dovuti a gesti improvvisi e allo stress di una stagione durante la quale i contratti “reali” spesso non prevedono giorni di riposo.
Pezzini (Sns): “Interpretare la norma con intelligenza”. Un mese fa a Imperia a rischiare la vita sono stati due addetti al salvamento, Andrea Ghersi e Patrizia Borgo. Durante un temporale scatenatosi sul litorale ligure, infatti, un fulmine ha colpito la punta in ferro del loro ombrellone e la donna ha subito una bruciatura a un braccio. Nonostante i danni limitati, il caso ha riaperto una questione annosa e scatenato il dibattito sulla norma che impone ai bagnini di non lasciare la loro postazione nemmeno in caso di temporali e saette. Per Dario Giorgio Pezzini, dell’ufficio di presidenza della Società nazionale di salvamento (Sns), “la norma dovrebbe essere sempre interpretata con intelligenza. È difficile, però, cambiare l’ordinanza della Capitaneria di porto su questo punto, perché la regola funziona da norma di garanzia per la sicurezza dei bagnanti”.
“Autorizziamoli a evacuare la spiaggia”. “Un bagnino – aggiunge Pezzini – conosce, o almeno dovrebbe conoscere, il pericolo dei fulmini durante un temporale o nelle fasi che lo precedono. Il suo lavoro diventa quindi essenziale perché, oltre a gestire il rischio, dovrebbe fare allontanare chi vuole restare sulla spiaggia”. Per cambiare la norma, bisognerebbe dunque partire dai bagnanti, “autorizzando i bagnini in caso di una reale minaccia di fulmini, a evacuare la spiaggia o, in alternativa, ad avvisare i bagnanti, con altoparlante e un segnale, che il servizio di salvataggio è sospeso. Oggi i bagnini risolvono spesso la questione, una volta allontanati i bagnanti, abbandonando la postazione ma restando in una posizione al riparo che consente loro di controllare l’accesso alla spiaggia”.
Molto basse le probabilità di incidente mortale. Sono rari, comunque, i casi in cui i bagnini si infortunano gravemente o perdono la vita. Gli incidenti più comuni ai quali sono sottoposti sono invece quelli tipici di un lavoro pesante o stressante, soprattutto perché devono affrontare situazioni di emergenza che si verificano all’improvviso, per esempio trascinando il pattino in mare o cominciando a nuotare a tutta velocità senza potersi riscaldare. Quasi mai, poi, i bagnini perdono la vita durante le fasi di salvataggio. “In media – precisa a questo proposito Pezzini – registriamo un morto ogni tre-quattro anni, il che significa che nonostante il rischio sia molto alto, le probabilità che l’incidente si verifichi davvero sono bassissime”.
Più pericoli lungo laghi e fiumi. A essere più pericolose, inoltre, non sono le acque del mare: solo un annegamento su quattro, infatti, avviene lungo le spiagge. Gli ultimi due rapporti Istisan del 2011 e 2012 mettono in luce come i pericoli maggiori si corrano nei pressi di fiumi e laghi, dove non è presente una sorveglianza per i bagnanti. E sebbene si registrino importanti risultati nella prevenzione degli annegamenti – dovuti a una maggiore consapevolezza dei rischi, alla capacità di nuotare, ai cambiamenti delle abitudini, all’educazione nelle scuole, al ruolo degli organi di stampa, alla sorveglianza nelle spiagge – oggi secondo l’Iss questi accorgimenti non sono più in grado di produrre ulteriori miglioramenti. “Poiché questi eventi si concentrano principalmente nei tre mesi estivi – precisa il rapporto – l’effettivo impatto del fenomeno rapportato al periodo “efficace” è molto più alto di quanto non riveli il numero complessivo degli annegati. È dunque necessario trovare strumenti nuovi e fare in modo di rendere ancora più efficaci quelli già noti”.
Fonte: INAIL