Stephan Schmidheiny “aveva previsto e accettato che dagli atti compiuti sarebbero derivate molteplici omissioni di cautele contro gli infortuni sul lavoro e una sequela non esattamente calcolabile, ma molto vasta, di patologie amianto-correlate”. Lo scrivono i giudici della Corte d’appello di Torino nelle motivazioni della sentenza con cui lo scorso 3 giugno hanno condannato il magnate svizzero a 18 anni di carcere per il disastro provocato dagli stabilimenti italiani della Eternit.
Con de Cartier un’opera di disinformazione sulla fibra killer. I magistrati guidati da Alberto Oggè, si legge nelle 800 pagine delle motivazioni, insieme a Schmidheiny avrebbero condannato alla stessa pena anche l’altro imputato nel processo, il barone belga Louis de Cartier, che però è deceduto pochi giorni prima della sentenza. La loro colpa principale è stata quella di “avere fatto disinformazione circa la pericolosità dell’amianto, anche quando questa era ormai nota in tutto il mondo”. Quindi Schmidheiny “ha agito rappresentandosi e volendo gli eventi dei reati che gli sono ascritti”.
I fatti di Napoli-Bagnoli e Rubiera non sono prescritti. Da qui l’accusa di disastro ambientale doloso, l’unica che ha retto fino al secondo grado. L’altra accusa, quella di omissione dolosa di cautele antinfortunistiche nei confronti dei dipendenti, è stata invece giudicata prescritta. Rispetto alprimo grado, però, la condanna è aumentata da 16 a 18 anni perché la responsabilità del manager è stata riconosciuta anche per i fatti legati agli stabilimenti della multinazionale di Napoli-Bagnoli e Rubiera (Reggio Emilia), che la prima sentenza aveva considerato prescritti. Secondo la corte d’appello, infatti, “esattamente come negli altri due siti di Cavagnolo e di Casale Monferrato, il fenomeno epidemico costituito dall’eccesso dei casi rilevati rispetto a quelli attesi, è attualmente ancora in corso” e i reati di disastro doloso “non possono nemmeno ritenersi interamente consumati”.
Il pericolo per la popolazione ancora attuale. “Il pericolo per la popolazione non è ancora scomparso”, sottolineano i giudici a questo proposito. Al contrario, “è ancora in atto, in forza della perdurante permanenza del pericolo”. Infatti “le specifiche modalità del fatto e la lunga durata della latenza delle patologie amianto-correlate, determinano tuttora la persistenza del pericolo per un numero indeterminato di persone, derivante dall’esposizione alle polveri di amianto”. Per ribaltare quella che è stata definita “una sentenza storica” dal pm Raffaele Guariniello, che ha coordinato il pool che in questi anni ha sostenuto l’accusa nel processo Eternit, ora agli avvocati della difesa non resta che la strada della Cassazione, che tuttavia non potrà entrare nel merito dei fatti, limitandosi a questioni di forma e competenza territoriale.
Fonte: INAIL