Sono 1.142 gli stabilimenti a rischio di incidente rilevante (Rir) censiti nell’edizione 2013 del rapporto realizzato dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) e dal Ministero dell’Ambiente, da cui emerge che circa il 25% è concentrato in Lombardia e oltre la metà si trova in quattro regioni del nord Italia: oltre alla Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Piemonte.
Più di 40 tabelle e mappe esplicative. Il rapporto, in particolare, analizza il numero e le tipologie di stabilimenti presenti nei vari ambiti territoriali, i Comuni con stabilimenti a rischio, i quantitativi di sostanze e preparati pericolosi presenti, il numero di stabilimenti ubicati entro 100 metri da un corpo idrico superficiale e dalla linea di costa e quantitativi complessivi di sostanze pericolose per l’ambiente detenute, e la distribuzione territoriale della pericolosità sismica di sito associata agli stabilimenti. Il tutto arricchito da oltre 40 tabelle e mappe esplicative.
La concentrazione maggiore in provincia di Milano. La mappatura mostra che nella quasi totalità delle province italiane è ubicato almeno uno stabilimento con pericolo di incidente rilevante. La distribuzione per province con numero elevato di stabilimenti pericolosi (maggiore o uguale a 20) al nord vede Milano capofila (69 stabilimenti), seguito da Brescia (45), Ravenna (37), Novara (28), Varese (28), Venezia (26), Torino (24), Vicenza (22), Alessandria (22), Bologna (20). Al centro la provincia con il maggior numero di stabilimenti Rir è Roma (26), seguita da Frosinone (21), mentre al sud e nelle isole spicca Napoli con 33 impianti.
Numeri in riduzione al centro-sud. Aree di particolare concentrazione sono state rilevate in corrispondenza dei tradizionali poli di raffinazione e/o petrolchimici, come Trecate, nel Novarese, Porto Marghera, Ravenna e Ferrara, Gela (Caltanissetta), Augusta-Priolo-Melilli-Siracusa, Brindisi, Taranto, Porto Torres (Sassari) e Sarroch (Cagliari). Rispetto alla precedente edizione del rapporto, che raffronta i dati tra il 2007 e il 2012, le riduzioni maggiori del numero di stabilimenti Rir si registrano nel centro-sud (Lazio, Umbria, Campania, Sicilia e Sardegna), mentre incrementi sono stati registrati in alcune regioni dell’Italia settentrionale (Veneto, Piemonte, Friuli Venezia Giulia e Liguria).
Record di impianti a Ravenna. Sono 756 su 8.101, pari a circa il 9% del totale, i Comuni che ospitano sul proprio territorio almeno uno stabilimento a “rischio Seveso”, dal nome della località della bassa Brianza che il 10 luglio 1976, in seguito a un incidente avvenuto in un impianto chimico, fu investita da una nube tossica contenente quantità elevate di diossina. Tra i Comuni caratterizzati dalla presenza di un numero elevato di impianti spiccano Ravenna (26 stabilimenti) e Venezia (15), seguiti da Genova (14), Trecate (10), Napoli, Livorno e Brindisi (9), Brescia, Filago e Roma (8).
Prevalenza delle strutture chimiche e petrolchimiche. Dal punto di vista delle tipologie più diffuse di stabilimenti Rir, la prevalenza è di quelli chimici e/o petrolchimici (circa 25%), concentrati in particolare in Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e Veneto, e di depositi di gas liquefatti, essenzialmente Gpl, pari a circa il 24%. I depositi di Gpl sono diffusi su tutto il territorio nazionale, in particolare nelle regioni meridionali (Campania e Sicilia) ma anche al nord (Lombardia e Veneto), e in generale presso le aree urbane, con picchi nelle province di Napoli, Salerno, Brescia, Roma, Bari e Catania. L’industria della raffinazione (17 impianti in Italia, alcuni dei quali in fase di chiusura o trasformazione in attività di deposito) risulta piuttosto distribuita sul territorio, con particolari concentrazioni in Sicilia (5) e in Lombardia (3). I depositi di oli minerali, invece, sono concentrati in prossimità delle grandi aree urbane e nelle città con importanti porti industriali, come Genova e Napoli.
Gli effetti delle direttive europee. Dal rapporto emerge anche che con l’entrata in vigore dei successivi decreti di recepimento nazionale delle direttive europee si sono verificate variazioni consistenti del numero di stabilimenti assoggettati alla normativa Seveso per alcune specifiche tipologie di attività. In particolare, è aumentato significativamente il numero degli stabilimenti per il trattamento superficiale dei metalli (triplicato nel 2006 e ulteriormente raddoppiato nel 2010), dei depositi di esplosivi (quasi raddoppiati), degli impianti di trattamento e recupero (più che raddoppiati), degli impianti di lavorazione dei metalli (aumentati del 50%). Allo stesso tempo si è verificata, invece, una marcata flessione del numero dei depositi di oli minerali (passati da 271 nel 2004 a 110 nel 2012) e di quello delle centrali termoelettriche, più che dimezzate tra il 2004 e il 2010, ma di nuovo in aumento a partire dal 2011, a causa della nuova classificazione dell’olio combustibile denso utilizzato in alcune di esse.
Fonte: INAIL