di Antonio Ciccia Messina
La trasparenza dei lavori del parlamento europeo batte la privacy.
Non si può chiedere il risarcimento del danno per la diffusione dei dati sanitari. È quanto stabilito dal Tribunale dell’Unione Europea (sentenza 3 dicembre 2015, resa nella causa T-343/13), che ha respinto la richiesta di indennizzo da parte di un funzionario del parlamento europeo per tardiva cancellazione dal sito Internet del parlamento stesso della sintesi di una sua petizione, contenente notizie sulla sua salute e su quella del figlio disabile.
Il tribunale dell’Unione ha respinto la domanda, dichiarando che la pubblicazione su Internet della petizione, con i dati sanitari, era legittima, in quanto l’interessato aveva acconsentito alla diffusione . E questo almeno per i dati del funzionario.
Una possibilità di risarcimento ci sarebbe stata per il figlio, in quanto non aveva espresso il consenso alla diffusione delle proprie notizie, ma la causa di risarcimento è stata iniziata solo dal padre e nel suo esclusivo interesse.
Sulla decisione ha pesato il fatto che nei moduli per l’invio della petizione c’è scritto che, se gli interessati si oppongono alla divulgazione dei dati, devono richiederlo espressamente.
Quindi le petizioni parlamentari sono, in linea di principio, documenti pubblici, anche se alla regola della pubblicità si possa derogare a specifica domanda dell’interessato.
Il Parlamento europeo, pertanto, non ha commesso alcun illecito e se ha cancellato i dati lo ha fatto per semplice cortesia.
Il Tribunale ha però rilevato che un illecito si sarebbe potuto accertare in astratto in relazione alla pubblicazione dei dati sulla salute del figlio del funzionario, ma questi non ha proposto alcuna domanda di indennizzo.
Per verificare l’impatto della sentenza sull’Italia, va richiamata una pronuncia del 16 luglio 2009 del Garante che riguardava il senato.
Si è trattato del testo di un’interrogazione disponibile sul sito internet del Senato e reperibile anche tramite i più comuni motori di ricerca, in cui si riportavano (non dati sanitari, ma) notizie negative di carattere giudiziario sul conto di una persona. L’interessato ha proposto ricorso al garante per la cancellazione, ma non ha avuto soddisfazione.
Il garante ha, infatti, dichiarato inammissibile la richiesta, considerando l’autonomia delle Camere e la prevalenza dei regolamenti parlamentari: con ciò si esclude che il codice della privacy possa applicarsi con riferimento agli atti riferibili all’esercizio di funzioni o prerogative parlamentari.
Sono le Camere stesse che devono disciplinare norme interne a protezione dei dati per la loro attività. Anche se, va riconosciuto, l’articolo 22, comma 12, del codice della privacy prescrive che le Camere stesse debbano adeguarsi ai principi del medesimo articolo 22, tra cui proprio quello (previsto al comma 8) per cui i dati sanitari non devo essere diffusi.
In caso di violazione gli interessati, però, devono ricordarsi che i ricorsi vanno presentati direttamente a camera e senato.
Se usciamo dal parlamento e guardiamo alla pubblica amministrazione, va invece ricordato che la trasparenza amministrativa non ammette in nessun caso la diffusione dei dati sanitari (non conta nulla, tra l’altro, l’eventuale consenso dell’interessato).
Questo va detto questo innanzi tutto per il citato articolo 22, comma 8, del codice della privacy, numerose volte applicato dal garante che, di volta in volta, boccia la pubblicazione su internet di atti di regioni, comuni o altri enti con dati sanitari o di graduatorie contenenti sati sulla salute dei cittadini.
La regola è anche confermata dall’articolo 4, comma 6, del d. lgs 33/2013; ai sensi di quest’ultima disposizione rimangono fermi i divieti di diffusione dei dati idonei a rivelare lo stato di salute.
© Riproduzione riservata