Il delitto passionale esclude l’infortunio in itinere: è un «rischio che riguarda la vita personale» e, dunque, non tocca la sfera professionale. Come tale, pertanto, è un reato sufficiente da sé a rompere il nesso con l’attività di lavoro e far venir meno l’occasione di lavoro, presupposto per l’indennizzo di ogni infortunio. È quanto stabilisce la sentenza n. 17685/2015 della Corte di cassazione, sezioni unite, chiamata a risolvere il contrasto giurisprudenziale sul concetto di infortunio «occasionato» dal lavoro sviluppatosi all’indomani della riforma del 2000 (dlgs n. 38/2000).
La vicenda. L’occasione d’intervento delle sezioni unite della Cassazione deriva dal dover decidere sul ricorso di un marito superstite (anche per conto delle figlie minorenni) contro una sentenza di un giudice del lavoro (Tribunale di Milano), confermata in Appello. In particolare, la sentenza, della quale si chiede la cancellazione, non ha riconosciuto la natura d’infortunio sul lavoro all’evento mortale («delitto passionale» occorso alla lavoratrice, moglie del ricorrente) mentre percorreva a piedi la strada per raggiungere l’Istituto geriatrico presso cui lavorava. Il giudice, infatti, ha ritenuto che l’infortunio è avvenuto in orario diverso da quello previsto per il turno e che, comunque, la causa violenta determinante l’infortunio era connessa a un evento reato (appunto l’omicidio) idoneo come tale a interrompere il nesso causale fra occasione di lavoro ed evento dannoso.
Il contrasto giurisprudenziale. Il ricorso, invece, sostiene la sussistenza sia della causa violenta sia dell’occasione di lavoro in base alle previsioni dal Tu Inail (dpr n. 1124/1965) e dell’art. 12 del dlgs n. 38/2000, per tre ragioni: 1) perché la lavoratrice percorreva il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro; 2) perché il caso non rientrava in nessuna delle esclusioni previste dalla disciplina; 3) perché non rilevava lo spostamento dell’orario d’inizio lavoro, considerata la ratio della tutela ed essendo comunque il lavoratore tenuto a recuperare il ritardo.
Di qui la necessità dell’intervento delle sezioni unite, cioè al fine di superare il contrasto sulla questione «attinente all’individuazione delle regole sull’indennizzabilità dell’infortunio e del rapporto anche in termini di nesso eziologico tra attività lavorativa e infortunio subito». In particolare, il contrasto riguarda l’interpretazione da attribuirsi all’art. 2 del Tu Inail dopo il comma aggiunto dall’art. 12 del dlgs n. 38/2000 per cui «l’assicurazione comprende tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte o un’inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un’inabilità temporanea assoluta che importi l’astensione dal lavoro per più di tre giorni salvo il caso dì interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal lavoro o, comunque, non necessitate, l’assicurazione comprende gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, durante il normale percorso che collega due luoghi di lavoro se il lavoratore ha più rapporti di lavoro e, qualora non sia presente un servizio di mensa aziendale, durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione abituale dei pasti. L’interruzione e la deviazione si intendono necessitate quando sono dovute a cause di forza maggiore, a esigenze essenziali e improrogabili o all’adempimento di obblighi penalmente rilevanti. L’assicurazione opera anche nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purché necessitato. Restano, in questo caso, esclusi gli infortuni direttamente cagionati dall’abuso di alcolici e di psicofarmaci o dall’uso non terapeutico di stupefacenti e allucinogeni; l’assicurazione, inoltre, non opera nei confronti del conducente sprovvisto della prescritta abilitazione di guida».
Le due interpretazioni. Con riguardo all’infortunio in itinere riconducibile a fatto doloso di terzo, esistono due diversi visioni. Una prima opzione interpretativa tende a estendere il concetto d’infortunio assicurato affermando il principio secondo cui «in tema di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, pur nel regime precedente l’entrata in vigore del dlgs n. 38/2000, è indennizzabile l’infortunio occorso al lavoratore in itinere, ove sia derivato da eventi dannosi, anche imprevedibili e atipici, indipendenti dalla condotta volontaria dell’assicurato, atteso che il rischio inerente il percorso fatto dal lavoratore per recarsi al lavoro è protetto in quanto ricollegabile, pur in modo indiretto, allo svolgimento dell’attività lavorativa, con il solo limite del rischio elettivo» (così Cassazione n. 11545/2012 e Cassazione n. 3776/2008, nonché con qualche differenza Cassazione n. 2942/2002 e Cassazione n. 15691/2000). L’opposto indirizzo ritiene, invece, che non sia possibile ignorare il preciso elemento normativo dell’occasione di lavoro, sicché per la configurazione dell’infortunio indennizzabile è necessario che la causa violenta sia connessa all’attività lavorativa, nel senso che inerisca alla predetta attività o che sia almeno occasionata dal suo esercizio (così Cassazione n. 13599/2009 che richiama Cassazione n. 1017/1989, Cassazione n. 447/1998 e Cassazione n. 10815/1998). In particolare, la Cassazione (sentenza n. 13599/2009) ha avuto modo di affermare che «in tema d’indennizzabilità dell’infortunio in itinere, si sottrae a censure la decisione di merito che, a fronte dell’omicidio del lavoratore, a opera di ignoti, nel tragitto percorso per recarsi al lavoro, ha ravvisato tra prestazione lavorativa ed evento una mera coincidenza cronologica e topografica, un indizio del nesso di occasionalità…. escludendo qualsiasi collegamento oggettivo tra evento, esecuzione del lavoro e itinerario seguito per raggiungere il luogo di lavoro a bordo della propria autovettura».
In quest’ultima via s’inserisce, infine, un terzo indirizzo (da ultimo Cassazione n. 13733/2014) in base al quale, in materia d’infortunio sul lavoro, l’art. 12 del dlgs n. 38/2000, che ha espressamente ricompreso nell’assicurazione obbligatoria la fattispecie dell’infortunio in itinere, disciplinandolo nell’ambito della nozione di «occasione di lavoro» di cui all’art. 2 del Tu Inail, esprime criteri normativi (come quelli di «interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal lavoro o comunque non necessitate») che delimitano l’operatività della garanzia assicurativa, condizionando l’indennizzabilità alla sussistenza di un vincolo «obiettivamente e intrinsecamente apprezzabile con la prestazione dell’attività lavorativa» e all’accertamento di «una relazione tra l’attività lavorativa e il rischio al quale il lavoratore è esposto», indispensabile a concretizzare quel «rischio specifico improprio» o «generico aggravato» che rientra nella ratio del citato art. 2 del Tu Inail.
Il delitto passionale. In conclusione la vicenda finisce con un nulla di fatto per il marito ricorrente. Il giudice, infatti, rileva che nella fattispecie la lavoratrice, «nonostante si trovasse sul percorso casa-azienda in orario prossimo all’inizio del lavoro, ha subito un rischio che riguarda la sua vita personale, del tutto scollegato all’adempimento dell’obbligazione lavorativa o dal percorso per recarsi in azienda», essendo stata «aggredita e accoltellata dal proprio convivente» (come da accertamenti dell’Inail). Questo evento, secondo il giudice, «ha spezzato ogni nesso» con la prestazione lavorativa.
© Riproduzione riservata