MILANO È partito ieri il collocamento, in offerta pubblica di vendita, delle azioni di Poste Italiane, che si prepara al debutto in Borsa il 27 ottobre: la «più grande privatizzazione dell’Italia dopo oltre un decennio», ha ricordato il Financial Times . Una svolta. Per il governo è il banco di prova sulla tenuta del Paese, scrive il quotidiano della City. «Se credete nell’Italia, dovete credere anche in Poste», ha detto ieri Fabrizio Pagani, capo della segreteria tecnica di Matteo Renzi, alla presentazione in Piazza Affari. Con lui, sul palco, l’amministratore delegato di Poste Francesco Caio, la presidente Luisa Todini e il direttore finanziario Luigi Ferraris. Nel parterre, il direttore delle Partecipazioni del Tesoro, Francesco Parlato. «Quella che decenni fa era l’azienda conservatrice più corporativa e succube della politica, risponderà agli azionisti e al mercato», ha scritto su Facebook il presidente del Consiglio, Matteo Renzi. L’obiettivo è replicare i casi Eni ed Enel.
Per il Tesoro, azionista al 100%, è una «privatizzazione storica » e «la più grande dell’anno in Europa». Quotandosi su Piazza Affari, del resto, Poste (assistita da Rothschild e Clifford Chance) debutta in certo modo anche sul mercato internazionale, visto che Borsa Italiana fa parte del London Stock Exchange Group. «Ci presenteremo sul mercato come una grande utility , che anziché luce distribuisce servizi ai cittadini — ha detto Caio —. Una società infrastrutturale con base di clienti ampia e stabile e un piano industriale che punta a una significativa crescita degli utili».
Due numeri: nel 2000 i ricavi erano di 7,1 miliardi, dei quali il 61% da prodotti postali; l’anno scorso di 28,5, col settore postale al 14%. Il manager ha confermato che il gruppo assumerà 8 mila persone. Da ieri, dunque, i titoli delle Poste si possono sottoscrivere in banca a un lotto minimo (elevato) di 500 azioni per un prezzo compreso fra i 6 e i 7,5 euro: occorrono dunque tra i 3 mila e i 3.750 euro per avere una fetta del gruppo. Ai risparmiatori andrà il 30% dell’offerta, ma può salire; fra gli investitori istituzionali sarebbero interessati i fondi sovrani. Mettere sul mercato fino al 38,2% del gruppo, significa ricavare fra i tre e i 3,8 miliardi. Un’operazione significativa per l’apertura al mercato di un’azienda dello Stato e per il sottolineato spirito «sociale»: «Teniamo molto a un azionariato diffuso soprattutto fra i dipendenti, leva fisica e intellettuale del cambiamento», dice Todini. Resta il nodo, per il gruppo che ha 2,8 miliardi di crediti col Tesoro, dei possibili aiuti di Stato sul contratto di programma 2015-2019. Verdetto Ue dopo la quotazione. Il collocamento, ha sottolineato Caio «ha una valenza sicuramente finanziaria ed economica ma ha anche una valenza di politica industriale e contribuirà all’ammodernamento del Paese».
Alessandra Puato
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