di Luciano Mondellini
Il titolo Volkswagen è crollato ieri del 18,6% in borsa chiudendo a 132 euro dopo che lo stesso colosso di Wolfsburg, in corsa con Toyota e GM per il primato mondiale nel settore, ha ammesso di aver falsificato per anni la misurazione degli scarichi di gas dei veicoli diesel venduti negli Stati Uniti per aggirare gli standard ambientali.
Una irregolarità che rischia di costare una sanzione di 18 miliardi di dollari e che già ha portato la casa tedesca a bloccare le immatricolazioni dei modelli diesel (sia di Volkswagen che della controllata Audi) negli Stati Uniti. «In termini personali sono profondamente dispiaciuto che abbiamo rotto il legame di fiducia con i nostri clienti e con il pubblico», ha affermato il ceo Winterkorn immediatamente finito nel centro del mirino. Il manager ha aggiunto inoltre che Volkswagen sta collaborando pienamente con le autorità Usa oltre ad aver commissionato un’indagine indipendente. Nel dettaglio il trucco in questione riguarda i motori turbodiesel (Tdi) di 2 litri di cilindrata (tra quelli più venduti non solo negli Usa) sui quali Volkswagen per anni ha installato un software che riconosce le condizioni da test e attiva dispositivi in grado di migliorare l’efficienza dell’auto e diminuire le emissioni di ossido di azoto, falsando in questo modo gli stessi test. Infatti il software non entra in funzione durante la guida normale e quindi motore aumenta le emissioni inquinanti da 10 a 40 volte rispetto a quando è attivo il sistema che limita i gas di scarico.
Lo scandalo ha ovviamente avuto una eco immediata anche in Germania, non foss’altro perché il land della Bassa Sassonia è il secondo azionista della società con il 20% (il primo è Porsche Automobil Holding con oltre il 50%).
Il ministro dell’Economia, e vicecancelliere, Sigmar Gabriel, non ha nascosto che quanto successo rappresenta «un clamoroso inganno ai danni dei consumatori. Siamo preoccupati che ne soffra la reputazione, a ragione eccellente, dell’industria dell’auto tedesca e in particolare quella di Volkswagen», ha fatto sapere Gabriel. Inoltre il ministero tedesco dell’Ambiente ha indicato che «a breve sono previsti colloqui tra il governo» e Winterkorn per valutare se vi siano state analoghe manipolazioni anche nel mercato tedesco.
Che cosa succederà ora? Per prima cosa bisognerà valutare l’entità della sanzione che l’Epa, l’agenzia Usa per la protezione ambientale, comminerà al colosso di Wolfsburg. In questo senso va detto che se anche la sanzione sarà esemplare, e quindi si arriverà ai 18 miliardi di dollari paventati (16 miliardi di euro), Volkswagen, per quanto colpita, sarà in grado di sostenerla. La casa di Wolfsburg viene da svariati bilanci record negli ultimi anni e ha chiuso il 2014 con ricavi a 202 miliardi di euro e un utile netto di 11,1 miliardi, mentre il primo semestre ha fatto segnare ricavi per 56 miliardi e 2,7 miliardi di utile netto. Insomma, anche nei peggiori dei casi la casa di Wolfsburg sarà in grado di reggere l’urto di questa sanzione (magari non distribuendo dividendi sul 2015) e quindi non dovrebbe modificare i piani almeno nel breve. Anche perché, bisogna ricordare, le vendite negli Stati Uniti rappresentano oggi solo il 6% del fatturato della società tedesca. Resta da capire, tuttavia, come ha fatto notare la società di consulenza Frost&Sullivan, quale sarà la portata dell’impatto «mediatico negativo» dello scandalo.
Sicuramente chi rischia è il ceo della società tedesca Martin Winterkorn, che questa primavera era uscito vincitore dalla guerra interna contro l’ex presidente del consiglio di sorveglianza nonché nume tutelare della casa di Wolfsburg, Ferdinand Piech. «In queste situazioni è difficile ipotizzare che chi è al comando non sappia cosa stia succedendo», ha spiegato ieri a Milano Finanza Riccardo Ruggeri, ex ceo di New Holland (Fiat) nei fatti riassumendo ciò che i maggiori osservatori internazionali hanno sostenuto nella giornata di ieri. Non a caso Ferdinand Dudenhoeffer, direttore del centro di ricerca sull’automobile dell’Università di Duisburg (molto ascoltato in Germania) ha spiegato che Winterkorn deve dare le dimissioni. «Il ceo avrebbe dovuto sapere delle manipolazioni, se non lo sapeva significa che non ha il controllo della società» ha spiegato Dudenhoffer ricordando come gli scarsi risultati negli Stati Uniti fossero una delle maggiori critiche mosse da Piech a Winterkorn questa primavera nel bel mezzo della guerra interna. (riproduzione riservata)