Pagine a cura di Luigi dell’Olio 

 

I numeri non sono paragonabili a quelli dei paesi anglosassoni, ma sta di fatto che le piccole e medie imprese italiane cominciano ad avvicinarsi al mercato dei capitali. Una spinta in tal senso arriva sicuramente dal credit crunch, che impone di cercare alternative alla principale fonte di finanziamento, ma un ruolo importante lo giocano anche le normative di favore e l’evoluzione culturale nel modo di fare impresa.

 

La fotografia dell’Aim. Ir Top ha scattato una fotografia dell’Aim Italia, il listino lanciato nel 2009 da Borsa italiana per avvicinare, attraverso incentivi fiscali e una burocrazia snella, le aziende di ridotte dimensioni ai mercati finanziari. In particolare, il processo di quotazione viene seguito da un advisor finanziario che prende il nome di Nomad (nominated advisor), al quale tocca valutare l’appropriatezza delle società che richiedono l’ammissione e, successivamente, assisterle nel corso della loro permanenza sul mercato. Mentre le autorità (Consob e Borsa italiana) si limitano a testare la completezza dei documenti. Inoltre sono previste semplificazioni sia in fase di ammissione (flottante minimo 10%, non sono previsti requisiti minimi in termini di capitalizzazione, governo societario e anni di esistenza, mentre il prospetto informativo viene sostituito dal documento di ammissione ed è necessaria la certificazione dell’ultimo bilancio se esistente) e post quotazione (non sono previsti resoconti intermedi di gestione).

Le 67 aziende quotate (di cui la metà sbarcate sul listino nell’ultimo anno e mezzo) nel 2014 hanno generato un fatturato di 3,4 miliardi di euro. La capitalizzazione ammonta a 2,8 miliardi e la raccolta da Ipo a 536 milioni. I settori più rappresentativi del mercato sono il green (il 24% del mercato in termini di società e il 29% per quel che concerne la capitalizzazione) e il digital (rispettivamente il 21 e il 18%). Mentre tra le aree geografiche il primato va al Nord, con la Lombardia (34% delle società) davanti a tutte le altre regioni. Solo il 12% delle aziende presenti su questo listino capitalizza più di 100 milioni, tutte le altre sono di piccole dimensioni (il 45% non supera i 20 milioni).

Non è detto che il merito sia tutto della quotazione, ma sicuramente la presenza su un mercato ufficiale può aiutare. Sta di fatto che le aziende quotate all’Aim nel corso del 2014 hanno visto crescere il loro fatturato mediamente del 23% (una su sei ha superato il 50%, mentre una su tre ha fatto registrare una performance in flessione), mentre l’ebitda ha registrato un incremento medio del 9%. Sedici le società che hanno distribuito dividendi ai soci per complessivi 30 milioni di euro. Nell’azionariato delle quotate all’Aim sono presenti 80 investitori istituzionali, di cui il 40% esteri. Il progressivo incremento del numero di titoli quotati sul listino, l’incremento della capitalizzazione media delle società e il crescente interesse degli investitori stanno contribuendo al miglioramento della liquidità del mercato. In particolare è più che raddoppiato il controvalore medio giornaliero scambiato: nei primi cinque mesi del 2015 si attesta a 101 mila euro rispetto a 45 mila euro nel primo semestre 2014. Valori comunque minimi rispetto alle somme che girano sul listino principale di Milano.

 

Opportunità e ostacoli. «Quotarsi significa molte cose: raccogliere capitale per finanziare la crescita, migliorare la percezione esterna del proprio brand, facilitando così i rapporti commerciali, nonché sostenere i processi di internazionalizzazione», spiega Anna Lambiase, a.d. di Ir Top. «Senza dimenticare che l’accesso al mercato consente di mantenere il controllo aziendale pur diversificando la compagine società, con la possibilità di exit da parte di soci storici familiari o finanziari».

Eppure, se si confronta l’Italia con gli altri grandi paesi occidentali, da noi l’accesso al mercato resta un’opzione di nicchia.

Sicuramente pesano le resistenze culturali degli imprenditori, che spesso sentono l’azienda come una propria creatura di cui disporre senza intromissioni. Ma va anche considerato che la quotazione comporta sforzi non indifferenti: non si tratta solo dei costi da sopportare per l’Ipo e la permanenza in borsa, ma anche di fare i conti con nuovi sistemi di governance all’insegna della trasparenza e con la necessità di abituarsi a comunicare con il mercato. Aspetti che, alla lunga, possono però consentire di crescere in maniera sostenibile. Senza più dipendere esclusivamente dal credito bancario.

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