Di Lucio Sironi
Pietro Giuliani, presidente e ad di Azimut, la società finita maggiormente nel mirino della borsa dopo il monito Consob sulle modalità di prelievo delle commissioni di performance da parte dei fondi di diritto estero, contrattacca e cerca di togliersi dall’angolo in cui era finito dopo l’iniziativa della commissione di vigilanza e dopo la di poco precedente vendita di una cospicua quota azionaria da parte del management (lui personalmente con circa l’1% del capitale) quando il titolo era vicino ai massimi, a 27,9 euro per azione, attraverso un’operazione di private placement.
A parte i numeri eccellenti messi insieme nel primi sei mesi del 2015, il colpo a effetto Giuliani lo ha piazzato quando ha rivelato di aver collocato i proventi della vendita di azioni proprio nei fondi di diritto lussemburghese della sua società. «Riteniamo corretta e doverosa l’attenzione posta da Consob sulla tutela degli interessi dei clienti», ha detto Giuliani, «che è il principio e il fondamento su cui Azimut ha sempre agito. Prova ne sia che dal 1992, nonostante le nostre commissioni di performance, la performance media ponderata netta ai nostri clienti è superiore a quella media dei concorrenti nello stesso periodo di oltre 20 anni di oltre l’1% all’anno». Ha poi ricordato che i financial partner non sono remunerati sulla base delle commissioni di performance e dunque non vi sono rischi che, in base a ciò, ai clienti sia consigliato un fondo invece di un altro. «Certo», ha proseguito il ceo nella sua articolata disamina, «sui costi deve esserci la totale trasparenza, ma chi fa questo lavoro e si relaziona quotidianamente con i clienti, sa bene che alla fine quello che viene da loro riconosciuto sono i ritorni offerti e la qualità del servizio.
Due semplici elementi», ha detto a questo punto Giuliani, «che io stesso, come cliente, ho valutato quando a seguito della modifica del patto di sindacato di Azimut e la vendita del mio pacchetto di azioni ho deciso di investire il 100% dei 40 milioni (cui però devono essere detratte le tasse, ndr), sui fondi lussemburghesi del gruppo senza alcuna agevolazione sulle commissioni di performance».
L’ad ha poi messo le mani avanti, segnalando che se ci sarà un intervento normativo al riguardo «non prevedo impatti di medio periodo, come abbiamo dimostrato già nel 2005, con un repricing effettuato in seguito un cambio di normativa sui fondi italiani». In quell’occasione Azimut elevò i costi di gestione dei fondi di diritto italiano, su cui non potè adottare lo stesso modello di performance fee applicate su quelli di diritto estero. «Mi appare comunque eccessiva l’attenzione posta sulle commissioni di performance e sull’incidenza sul nostro conto economico, crediamo che il valore dato ai clienti espresso da una performance media ponderata netta da inizio anno pari al 6%, due punti superiori all’industria, sia la risposta più esaustiva alla salvaguardia dei loro interessi».
Venendo ai conti del semestre, i ricavi consolidati sono stati di 414,7 milioni (258,4 milioni nel primo semestre 2014); l’utile ante imposte di 206,7 milioni (da 83,6); e l’utile netto di 180,4 milioni (da 81,8), che da solo rappresenta il record annuo per Azimut, con la particolarità di essere stato perseguito in soli sei mesi. La posizione finanziaria netta consolidata a fine giugno era positiva per 339,6 milioni (da 303,9 a fine giugno 2014 e 312,4 a fine 2014), nel semestre la cassa generata dalle attività operative è stata di 218 milioni e sono stati pagati dividendi per circa 103 milioni.
Il totale delle masse gestite a fine giugno ha raggiunto 30,2 miliardi; il dato comprensivo del risparmio amministrato e gestito da case terze direttamente collocato arriva a 35,2 miliardi. La raccolta netta nei primi sei mesi dell’anno è stata di 3,9 miliardi, altro record per il gruppo, anche grazie al consolidamento delle masse di alcune jv estere che hanno contribuito per 1,6 miliardi, portando il peso delle masse fuori dall’Italia a raggiungere il 12% sul totale, «anche perché la crescita nei Paesi in cui stiamo investendo sta avvenendo molto rapidamente», ha spiegato il ceo. Il numero dei pf delle reti del gruppo a fine marzo ammontava a 1.545.
Giuliani è anche tornato sulla vendita di azioni da parte del management: «Lo abbiamo fatto perché abbiamo previsto un piano di riacquisti progressivi che intendiamo sostenere e per il quale servono risorse». In borsa l’azione è salita dell’1,9%. (riproduzione riservata)