Pagina a cura di Vincenzo Dragani 

Responsabili per la corretta gestione dei rifiuti sono anche i soggetti che, pur non producendoli materialmente, omettono dovuti controlli su terzi cui hanno affidato, nel proprio interesse, attività che ne comportano la generazione. A estendere la definizione di «produttore di rifiuti» recata dal Codice ambientale alle persone cui la generazione di rifiuti sia anche solo «giuridicamente riferibile» è il decreto legge 4 luglio 2015 n. 92 che parallelamente amplia anche il raggio d’azione del connesso istituto del «deposito temporaneo di rifiuti» previsto dal medesimo dlgs 152/2006.

 

L’estesa nozione di produttore di rifiuti.

Il dl 92/2015 (pubblicato sulla G.U. del 4 luglio 2015 e in vigore dalla stessa data) rimodula la definizione di produttore iniziale di rifiuti recata dalla prima parte della lettera f), comma 1, articolo 183 del dlgs 152/2006, specificando come debba intendersi tale, oltre al «soggetto la cui attività produce rifiuti» anche quello cui (testualmente) sia «giuridicamente riferibile detta produzione». Il provvedimento pare dunque allineare la definizione del dlgs 152/2006 all’indirizzo giurisprudenziale che (già sotto il precedente dlgs 22/1997 e ora sub Codice ambientale) ritiene produttore di rifiuti non solo il soggetto che materialmente li genera, ma anche la persona (fisica o giuridica) nel cui interesse tale attività di generazione viene effettuata (come evincibile dalla sentenza della Corte di cassazione 21 gennaio 2000 n. 4957, da ultimo ripresa nella sentenza 10 febbraio 5916/2015). La formalizzazione legislativa della figura del «produttore giuridico» di rifiuti appare promettere come principali conseguenze: il secco riconoscimento della qualifica di produttore di rifiuti in capo al soggetto che contrattualmente ne affidi la materiale generazione ad altri come normalmente avviene, per esempio, nella commissione di lavori edili; in stretta conseguenza, la responsabilità dello stesso soggetto per l’eventuale illecita gestione dei residui condotta dai terzi affidatari nel caso dell’omesso ma esigibile controllo sulla loro attività. Come già evidenziato dalla stessa giurisprudenza, una posizione di garanzia con obbligo di attivarsi per impedire possibili illeciti di terzi (ex articolo 40 del Codice penale) è infatti rinvenibile in capo al produttore di rifiuti (oggi sia materiale che giuridico) ai sensi della disciplina sui rifiuti, e in termini di onere non trasferibile contrattualmente. Già alla luce del citato dlgs 22/1997 e con sostanziale continuità normativa negli articoli 178 e 188 del dlgs 152/2006, la disciplina di settore, rispettivamente, sancisce infatti (in linea generale) la «responsabilizzazione e ( ) cooperazione di tutti i soggetti» coinvolti nella produzione e gestione dei rifiuti e (in linea particolare) prescrive gli oneri di produttori e detentori, ai quali impone di affidare la gestione dei rifiuti a soggetti autorizzati e (in relazione a particolari fattispecie) di effettuare un riscontro documentale sull’effettivo buon fine del loro trasporto. Sebbene di primaria rilevanza nell’ambito dei rapporti d’impresa (fondati su contratti di appalto), la nuova definizione legale di «produttore giuridico di rifiuti» (con i connessi obblighi di vigilanza e controllo) appare potenzialmente coinvolgere anche l’agire di altri soggetti, prospettandosi pure per il mero proprietario di un’immobile abitativo che vorrà procedere a una ristrutturazione (quale potenziale produttore, appunto, «giuridico» di rifiuti) l’onere di prestare maggiore attenzione nella scelta del soggetto affidatario dei lavori che effettivamente (quale produttore «materiale») genererà fisicamente i residui e si occuperà della loro gestione.

 

L’allargato deposito temporaneo di rifiuti. Con un duplice intervento sul Codice ambientale il legislatore del dl 92/2015 ha altresì rivisitato, allargandone il campo applicativo, anche la nozione nazionale di deposito temporaneo di rifiuti, attività (lo ricordiamo) propria del produttore di rifiuti e conducibile ex articolo 208 del dlgs 152/2006 senza necessità di preventiva autorizzazione a condizione che vengano rispettate precise prescrizioni dettate dallo stesso Codice ambientale. In primo luogo, viene trasposta nel dlgs 152/2006 la nozione di «deposito preliminare alla raccolta», definizione mutata dalla direttiva 2008/98/Ce che lo identifica nell’attività (rientrante in quella più generale della raccolta) di «deposito in attesa della raccolta in impianti in cui i rifiuti sono scaricati al fine di essere preparati per il successivo trasporto in un impianto di recupero o smaltimento» (indicandolo, in via alternativa, con il termine «deposito temporaneo» e distinguendolo anche dal punto di vista autorizzativo dal deposito di rifiuti in attesa del trattamento). Suddetta nozione Ue di «deposito preliminare alla raccolta» (peraltro già inserita nell’Ordinamento nazionale tramite il dlgs 49/2014 in materia di rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche) è pedissequamente alla logica della direttiva 2008/98/Ce trasposta dal dl 92/2015 in due punti del Codice ambientale (con l’evidente fine di adattare quest’ultimo al dettato comunitario), ossia: nella lettera o), comma 1, articolo 183 del dlgs 152/2006 (recante la definizione di «raccolta» di rifiuti); nella successiva lettera bb) dello stesso comma (recante la definizione nazionale di «deposito temporaneo»). In secondo luogo, tramite un ulteriore intervento sulla stessa definizione di «deposito temporaneo» ex articolo 183 del dlgs 152/2006, viene estesa la portata di quest’ultimo allo stoccaggio effettuato sull’«intera area in cui si svolge l’attività che ha determinato la produzione dei rifiuti». Ciò che deriva dal doppio intervento legislativo è dunque un’estesa nozione di «deposito temporaneo» ora coincidente (secondo il rinnovato testo del Codice ambientale) con «il raggruppamento dei rifiuti effettuato e il deposito preliminare alla raccolta ai fini del trasporto di detti rifiuti in un impianto di trattamento, effettuati, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti, da intendersi quale l’intera area in cui si svolge l’attività che ha determinato la produzione dei rifiuti». Immutate restano le altre condizioni che consentono al produttore di rifiuti di effettuare tale stoccaggio in deroga al citato regime autorizzatorio, le quali continuano a essere: quelle relative alla quantità e qualità dei rifiuti ammissibili, al tempo di giacenza, alla organizzazione tipologica del materiale (come previsto dalla seconda parte della citata lettera bb), comma 1, articolo 183 del dlgs 152/2006); quelle di prevenzione ambientale, tra cui i limiti alla miscelazione dei rifiuti pericolosi, previste dalle altre disposizioni dello stesso Codice.

Le disposizioni «salva impianti» Aia. Con il dl 92/2015 arrivano infine disposizioni per evitare il possibile blocco dei nuovi stabilimenti industriali autonomi (tra cui ben possono figurare quelli che gestiscono rifiuti) rientranti nella disciplina sull’autorizzazione integrata ambientale alla luce delle modifiche introdotte dal dlgs 46/2014 nel dlgs 152/2006: il dl 92/2015 consente loro la prosecuzione delle attività in base alle autorizzazioni previgenti anche se, spirata la data dello scorso 7 luglio 2015, ancora non hanno ottenuto il dovuto rilascio dell’Aia da parte delle competenti Autorità (nel presupposto, sotteso, che ne abbiano fatto richiesta entro la deadline dello scorso 7 settembre 2014). La disposizione segue l’intervento effettuato dal Minambiente con la Nota 17 giugno 2015, laddove con un’interpretazione estensiva della stessa normativa si è chiarito che non subivano la citata deadline del 7 luglio 2015 i nuovi impianti funzionalmente collegati ad altre installazioni già soggette ad Aia.

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