di Francesca Vercesi 

Nella storia recente, la creazione di ricchezza è stata prerogativa di pochi: un report ha rilevato che 917 miliardari venuti dal niente hanno generato più di 3,6 trilioni di dollari di patrimonio globale. Molti di loro hanno iniziato da giovani il proprio viaggio verso la ricchezza, con il 23% che ha stabilito la prima attività imprenditoriale prima dei 30 anni, mentre nel complesso il 68% l’ha fatto prima di compierne 40.

La ricerca, condotta da Ubs e Pwc dal titolo «Billionaire Report – Master architects of great wealth and lasting legacies», è stata condotta su 1.300 miliardari in Europa, Stati Uniti e Asia e indaga le differenze tra loro, focalizzandosi su tre aspetti principali: la creazione della ricchezza, la conservazione del patrimonio e lasciti e filantropia. In particolare, la ricerca prende in esame i dati degli ultimi 19 anni (dal 1995 al 2014) relativi a 14 maggiori mercati miliardari, che rappresentano il 75% della ricchezza miliardaria globale.

 

La creazione della ricchezza. Dall’Europa agli Stati Uniti, all’Asia, sono in aumento i miliardari che si sono fatti da soli. Ma mentre i membri della popolazione miliardaria mostrano normalmente alcuni tratti simili, ovvero una intelligente propensione al rischio, un’attenzione ossessiva verso il business e una forte etica del lavoro, essi hanno costruito i loro patrimoni in modi diversi. Negli Stati Uniti, ad esempio, il settore dei servizi finanziari è stato il principale creatore di miliardari venuti dal nulla, con una quota del 30%.

Il patrimonio per ciascun miliardario all’interno del settore sfiora una media di 4,5 miliardi di dollari. Per contro, i miliardari che si sono fatti da soli nell’ultimo ventennio in Europa (il 49,5%) e in Asia (il 20%) sono un prodotto dell’industria dei consumi. Con un patrimonio medio di 5,7 miliardi di dollari, gli imprenditori europei sono significativamente più ricchi degli asiatici (3,2 miliardi di dollari). Tuttavia, il gruppo di miliardari self-made asiatici è un caso unico, perché l’accumulo di ricchezza nella regione è più recente rispetto ad altre parti del mondo. I miliardari asiatici sono generalmente più giovani rispetto agli altri, con una età media di 57 anni, ovvero dieci anni in meno rispetto agli americani e agli europei. Inoltre, il 25% di loro è cresciuto in povertà, una percentuale importante rispetto all’8% degli americani e al 6% degli europei. Quale conseguenza di questi fattori, UBS e PwC prevedono che in futuro l’Asia sarà il centro della creazione dei nuovi patrimoni miliardari.

La preservazione della ricchezza.

Mantenere il business all’interno della famiglia, oppure capitalizzare e passare ad altro? Più di due terzi dei miliardari globali ha compiuto 60 anni e ha più di un figlio. Questo rende prioritarie le questioni relative alla preservazione e al trasferimento del patrimonio e ai lasciti. Le ricchezze si diluiscono con l’andare del tempo, specialmente con la crescita delle famiglie, e quando invecchiano i miliardari devono affrontare l’ardua decisione di cosa fare delle aziende che li hanno fatti diventare ricchi: mantenerle, oppure venderle nella loro interezza o per singoli pezzi.

Dal Billionaire Report è emerso che tra i miliardari che si sono fatti da soli negli Usa e in Europa, la maggioranza sceglie di mantenere le attività che li hanno resi ricchi (il 60%), un terzo di loro (il 30%) cede quote della società tramite quotazione o una vendita sul mercato, mentre il 10% vende l’intera azienda.La maggior parte dei miliardari self-made che decide di vendere l’intera società diventa un investitore finanziario, agendo autonomamente, ricercando degli specifici obiettivi di rischio/rendimento, e/o delegando gli investimenti a family office o a un consulente finanziario. In Europa e in Asia, è molto probabile che i miliardari creino una dinastia economica, con il 57% delle famiglie miliardarie europee e il 56% di quelle asiatiche che subentrano nell’azienda di famiglia quando il patriarca/fondatore si ritira. Questo scenario è di gran lunga meno comune negli Stati Uniti (il 36%).

Lasciti e filantropia.

I miliardari di oggi dimostrano un interesse crescente verso la filantropia, a supporto dell’istruzione, della salute e delle cause umanitarie in tutto il mondo. In particolare, tendono a concentrarsi su iniziative che offrano dei risultati tangibili e misurabili: sapere quante vite siano state influenzate dalle loro donazioni, vedere migliorare le condizioni di salute o di vita, oppure finanziare cause diverse attraverso il micro-credito. Negli Stati Uniti, è molto popolare la «filantropia visibile», con donazioni effettuate attraverso istituzioni. Ad esempio, dal 2010, anno del suo avvio, più di 100 miliardari statunitensi hanno aderito alla campagna «The Giving Pledge» di Bill Gates, accettando di donare in beneficenza più del 50% del loro patrimonio. UBS e PwC prevedono che «The Giving Pledge» e i contributi individuali porteranno ad un aumento della filantropia in tutte le sue forme nei prossimi due decenni.