Su un punto sono tutti d’accordo: la nuova normativa sugli ecoreati risponde a un’esigenza da tempo avvertita dall’opinione pubblica e dal sistema economico, che nel tempo hanno registrato una crescente sensibilità verso i temi ambientali. Al di là di questo, tuttavia, si registrano differenti posizioni in merito alle soluzioni adottate dal legislatore: all’entusiasmo di chi vede l’avvio di una nuova stagione nel processo decisionale delle aziende, con norme utili soprattutto in via preventiva, fa da contraltare l’analisi di coloro che contestano la scarsa chiarezza della norma.
Ricadute sulla responsabilità amministrativa. Per Massimo Maria Amorosini, direttore generale di Confapi, la disciplina appena approvata dal parlamento andrà a incidere sulla responsabilità amministrativa ex dlgs 231/01, data l’introduzione di nuove fattispecie di reato di delitti contro l’ambiente, nonché l’inasprimento sanzionatorio di fattispecie già contemplate nell’ordinamento penale. «Le imprese saranno esposte all’applicazione delle sanzioni penalmente previste che comportano pene pecuniarie nonché pene interdittive», sottolinea. «Per le Pmi, incorrere nelle sanzioni pecuniarie e interdittive significa rischiare seriamente la chiusura, posto che è l’impresa stessa a essere imputata penalmente per i reati in questione oltre che il soggetto che commette materialmente il reato nel suo interesse o vantaggio».
Insomma si ripropone la questione se «giustificare» una responsabilità oggettiva di natura penale che sembrerebbe contraddire il principio costituzionalmente garantito che predica che la responsabilità penale è personale.
Morosini lamenta anche la tendenza a cambiare continuamente la normativa, un atteggiamento che il legislatore italiano adotta in svariati campi, spesso creando confusione tra gli operatori economici, impossibilità a conoscere a priori il contesto con il quale confrontarsi al momento di investire.
Detto questo, per Confapi vanno colti anche gli aspetti positivi del testo approvato il 19 maggio dal parlamento, come l’introduzione nel codice penale di nuove ipotesi di reato come il delitto di inquinamento ambientale, il reato di morte o lesioni quali conseguenze del delitto di inquinamento ambientale e il delitto di disastro ambientale.
Quindi, per Morosini, «è indubbio che le imprese dovranno sostenere ulteriori costi di gestione dovendo rivedere il modello di organizzazione e gestione, che costituisce l’esimente per non incorrere nell’imputazione dei reati previsti dal dlgs 231/01, al fine di adeguarlo alle nuove prescrizioni legislative».
Esulta Legambiente, contestano i petrolieri. Stefano Ciafani, vicepresidente di Legambiente, vede nella nuova disciplina relativa agli ecoreati una svolta dopo 20 anni di battaglie. «Siamo partiti da soli, ma pian piano è cresciuto il consenso sia tra l’opinione pubblica, che tra le associazioni». Negli ultimi mesi, il cartello «In nome del popolo inquinato» è arrivato a contare 25 aderenti, comprese alcune associazioni di addetti ai lavori. «L’aspetto più importante è che la nuova normativa porterà benefici alle aziende sane, che per tutto questo periodo hanno dovuto confrontarsi con una concorrenza sleale sui temi della tutela ambientale», sottolinea Ciafani. «Questo per mancanza di sanzioni adeguate, dato che il reato ambientale comportava reazioni dell’ordinamento più tenui di chi è sorpreso al supermarket a rubare una mela».
D’ora in avanti, aggiunge l’esponente di Legambiente, «il paese potrà muoversi su una linea di legalità che premierà le aziende sane, a dispetto dei furbi, andando a incidere in primo luogo in via preventiva, orientando le scelte delle aziende».
Non la vede allo stesso modo Cosimo Pacciolla, responsabile Contenzioso e consulenza legale di Kuwait Petroleum e socio Aigi (Associazione italiana giuristi d’impresa): «Lo spirito della norma è condivisibile, dato che si propone di combattere i reati ambientali», commenta. «Tuttavia un’attenta lettura delle norme porta a smorzare l’entusiasmo». Le critiche sono rivolte in primo luogo alla disciplina riguardante la perseguibilità dei reati colposi, pur in presenza di un ravvedimento operoso: «Nella norma appena approvata dal parlamento non vi è un netto distinguo, in termini di perseguibilità, tra reati intenzionali e colposi. Il risultato è di colpire chi commette un errore non voluto, al quale non basterebbe riparare tempestivamente il danno per evitare un procedimento penale e una condanna a proprio carico».