La contrattazione collettiva può disciplinare non derogare al regime di responsabilità solidale negli appalti. Può cioè prevedere metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità, non limitarsi a prevedere l’acquisizione di autodichiarazioni dei datori di lavoro. Lo precisa il ministero del lavoro nell’interpello n. 9/2015 formulato da Aris.
Il quesito. L’interpello verte sul cd regime di responsabilità solidale negli appalti, disciplinato dal comma 2, dell’articolo 29, del decreto legislativo n. 276/2003 (riforma Biagi), da ultimo modificato dall’articolo 4, comma 31, della legge n. 92/2012 (riforma Fornero). Tale regime intercorre tra committente, appaltatore e ciascuno degli eventuali subappaltatori e riguarda le retribuzioni e il versamento degli oneri sociali (contributi e premi) dovuti per i lavoratori impiegati nell’appalto e per il periodo dello stesso appalto, fino a due anni dopo la sua cessazione. L’Aris ha chiesto l’interpretazione della norma nella parte in cui prevede che la contrattazione collettiva nazionale possa derogare al regime della responsabilità solidale negli appalti. In particolare, ha chiesto se l’espressione «salva diversa disposizione dei contratti collettivi nazionali» si riferisca alla contrattazione collettiva sottoscritta da associazioni del settore di appartenenza dell’appaltatore ovvero di quello del committente.
I chiarimenti. L’articolo 29, spiega il ministero, dopo aver disciplinato il regime di responsabilità solidale fa salve le eventuali diverse disposizioni «dei contratti collettivi nazionali sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative del settore che possono individuare metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti» (comma 2). Successivamente, aggiunge il ministero, l’articolo 9, comma 1, del decreto legge n. 76/2013 (convertito dalla legge n. 99/2013), ha specificato che le eventuali diverse norme dei contratti collettivi nazionali possano esplicare i propri effetti solo in relazione ai trattamenti retributivi dovuti ai lavoratori impiegati nell’appalto/subappalto, «con esclusione di qualsiasi effetto in relazione ai contributi previdenziali e assicurativi» (così, peraltro, già precisato dallo stesso ministero nella circolare n. 35/2013).
In conclusione, il ministero spiega che l’istituto della responsabilità solidale costituisce una garanzia per i lavoratori impiegati nell’appalto che, evidentemente, sono quelli dipendenti o dell’appaltatore o del subappaltatore. Pertanto «appare conforme alla ratio della disposizione ritenere che eventuali regimi derogatori possano essere disciplinati dai contratti collettivi applicati ai lavoratori in questione», cioè ai Ccnl applicati dalle imprese appaltatrici e/o sub-appaltatrici e non dal Ccnl applicato dal committente. Tali contratti, in particolare, possono individuare «metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti», adeguatamente utili a garantire l’assolvimento, da parte dell’appaltatore, degli obblighi retributivi nei confronti dei propri lavoratori, senza limitarsi a prevedere l’acquisizione delle relative autodichiarazioni rilasciate dai datori di lavori.