di Piero Magri dipartimento penale R&P Legal 

 

Nell’ambito della normativa che ha disciplinato la procedura della cosiddetta voluntary disclosure, la legge 15 dicembre 2014, n. 186 ha introdotto nel nostro ordinamento il reato di autoriciclaggio. Il nuovo articolo 648-ter 1 c.p. punisce, oggi, con la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da euro 5.000 a euro 25.000 chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo impiega, sostituisce o trasferisce in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tali delitti, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa.

La nuova norma ha previsto anche la responsabilità dell’ente ai sensi del dlgs 231/2001. Infatti l’art. 648-ter 1 è stato inserito tra i reati presupposto con una sanzione pecuniaria da 200 a 800 quote, aumentata da 400 a 1000 per le ipotesi più gravi: in sostanza la multa può superare il milione di euro! Le società pertanto si dovranno attrezzare per evitare di divenire strumenti di strategie criminali.

Va chiarito fin d’ora che la non punibilità dell’autoriciclaggio è venuta meno poiché si è ritenuto che il reimpiego delle disponibilità illecite rappresentasse un fatto sostanzialmente diverso e autonomo rispetto al reato presupposto, in grado di alterare il corretto funzionamento del mercato. Proprio nella reimmissione nel circuito dell’economia legale si realizza l’offesa all’ordine economico e si giustifica la deroga del ne bis in idem sostanziale (Mucciarelli).

Pertanto oggi, diversamente dal passato, l’autore di un reato può rispondere anche del delitto di autoriciclaggio qualora «impieghi, sostituisca o trasferisca» in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative il denaro o altre utilità in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa.

Potrebbe dunque rispondere di autoriciclaggio un imprenditore che abbia commesso un reato di omessa dichiarazione in Italia per aver «esterovestito» la propria attività, dopo aver versato gli utili della società su un conto di un prestanome, il quale restituisca il denaro all’imprenditore per altri investimenti. In questo caso il denaro proveniente da delitto viene reinvestito, attraverso un occultamento o schermatura della provenienza illecita.

Ciò che caratterizza in modo specifico questo nuovo delitto è il fatto che l’investimento del denaro illecito debba essere «concretamente» idoneo a ostacolare l’identificazione. Tale inciso porterebbe a non ritenere configurabile il reato qualora vi sia una ordinaria tracciabilità dei movimenti finanziari ed economici.

Si pensi all’imprenditore che versi il denaro ricavato da vendite di merci senza fattura sui conti correnti della propria azienda. In questo caso sarà configurabile un reato tributario, se si supera la soglia richiesta, ma, non essendo stato compiuto alcun atto per ostacolare la provenienza, non sarà punibile il delitto di autoriciclaggio né per lui né per l’ente. Non varrà pertanto per l’autoriciclaggio quell’orientamento giurisprudenziale, secondo il quale per integrare il reato di riciclaggio, è sufficiente il trasferimento di denaro di provenienza illecita da un conto corrente a un altro, anche se diversamente intestato e acceso presso un differente istituto di credito.

Assai rilevante è l’introduzione di una causa di non punibilità nei casi in cui il denaro, i beni o le altre utilità vengano destinati alla mera utilizzazione o al godimento personale. Questa clausola evidenzia una forte limitazione al fatto tipico (Mucciarelli) e rappresenterà una importante via di fuga per soggetti fisici ed enti: è stato peraltro sottolineato come la nuova norma sembra considerare di più alto valore sociale il piacere personale e il consumismo, condannando invece come riprovevoli le attività economiche, finanziarie e imprenditoriali (Sgubbi).

Un aumento di pena verrà applicato per fatti commessi nell’esercizio di attività bancarie o finanziarie o altre attività professionali. Ed effettivamente i professionisti e i banchieri potranno concorrere nel reato con il soggetto già punibile per i reati da cui provengono i beni da reinvestire.

Se poi un soggetto apicale commette il reato di autoriciclaggio nell’interesse o a vantaggio dell’ente di cui fa parte, come già evidenziato, potrà rispondere dell’illecito commesso non solo la persona fisica autrice del reato, ma altresì, l’ente.

Come noto due sono le condizioni della responsabilità dell’ente: da un lato la presenza dell’autore del reato di autoriciclaggio all’interno dell’organizzazione dell’azienda e, dall’altro, l’aver agito la persona fisica perseguendo l’interesse (condizione preesistente alla commissione), o il vantaggio (da verificarsi ex post) dell’ente stesso. La seconda delle due condizioni potrebbe configurarsi, nell’ipotesi dell’art. 648-ter 1 c.p., nel caso in cui i proventi di un delitto commesso da un amministratore venissero impiegati, per esempio, per finanziare nuovi investimenti societari o per aprire a nuovi business. Si badi che il reato deve comunque prevedere giri tortuosi e schermature delle transazioni perché ci sia un «concreto ostacolo» alla identificazione della provenienza delittuosa e comunque il reato deve evidenziare la palese strumentalità al raggiungimento di un obiettivo criminoso dell’ente ed essere il frutto di una strategia aziendale (Rossi).

Cosa possono dunque fare le società per tutelarsi dal rischio di ritrovarsi indagate in un procedimento ex dlgs 231/2001?

Necessario è l’aggiornamento del proprio Modello organizzativo, o l’adozione ex novo di un proprio Modello di organizzazione, gestione e controllo che rispetti i crismi della idoneità e della efficacia concreta a prevenire i reati presupposto che possono essere astrattamente commessi dall’ente.

Preliminarmente andrà effettuata una attenta analisi del rischio concreto di commissione del nuovo reato di autoriciclaggio che può annidarsi nei processi aziendali così detti «sensibili» prestando particolare attenzione ai procedimenti penali instaurati a carico dei vertici o del management dell’ente o di partner commerciali, nonché alla gestione dei flussi finanziari e alla identificazione della loro provenienza. Quest’ultima sembra essere la nuova «fatica di Sisifo» per gli enti. Una volta individuate le aree a rischio reato, occorrerà aggiornare il Modello ex dlgs 231/2001 e valutare l’opportunità di rafforzare i presidi di controllo interni già in essere.

La parola d’ordine sembra essere «procedure di tracciabilità delle operazioni finanziarie», mentre assume rilevanza anche la condivisione delle informazioni rilevanti con l’Organismo deputato al controllo della tenuta del Modello («OdV»).

Ciò almeno fino a quando la giurisprudenza non offrirà agli operatori e ai professionisti quella interpretazione autorevole della norma che consentirà di comprendere la reale portata della nuova fattispecie incriminatrice.

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