di Luisa Leone
Tetto al 5% per le nuove popolari spa. È questa la novità più importante contenuta nelle modifiche al decreto Investment compact approvate ieri dalle commissioni Finanze e Attività produttive della Camera. Come anticipato nei giorni scorsi da MF-Milano Finanza, infatti, il governo non ha ceduto alle pressioni del settore e di una buona parte del Parlamento, accettando come unico ritocco alla riforma approvata alla fine di gennaio la possibilità di prevedere una limitazione al 5% dei diritti di voto, peraltro a tempo.
Il primo dei due emendamenti approvati ieri consente infatti agli istituti di credito che abbandoneranno la vecchia forma cooperativa di introdurre un tetto del 5% o superiore, con l’eccezione che non saranno computati ai fini del limite «le partecipazioni detenute da organismi di investimento collettivo del risparmio». Questa misura, pensata come scudo a scalate ostili, varrà però solo per 24 mesi dalla conversione del decreto. Il che significa, visti i tempi che saranno necessari per l’approvazione dei nuovi statuti, che la norma non potrà avere lunga gittata.
Tuttavia un secondo emendamento presentato dai relatori e approvato dal sottosegretario all’Economia, Pier Paolo Baretta, consente di approvare, non solo trasformazione in spa ma anche i nuovi statuti con la maggioranza dei 2/3 dei presenti a partire dalla seconda convocazione (nella prima è richiesta la presenza di almeno 1/10 dei soci).
Una previsione inserita per consentire un via libera più agevole ai nuovi statuti, che di fatto permetteranno di prevedere autonomamente l’inserimento di tetti ai diritti di voto ed eventualmente anche l’applicazione del voto maggiorato. L’articolo va letto però insieme a quello che consente esplicitamente l’introduzione di un tetto non inferiore al 5%, perché quest’ultimo prevede anche che nel caso in cui si scelga una soglia più bassa non valga più l’approvazione degli statuti a maggioranza dei presenti in assemblea. Il che rende di fatto molto difficile prevedere una limitazione più pesante ai diritti di voto rispetto alla soglia del 5%. Non solo. Anche se teoricamente, una volta trasformate in spa, le nuove popolari potrebbero prevedere in statuto sia le loyalty share che i tetti ai diritti di voto, è molto difficile che nella pratica gli istituti possano davvero ricorrere a entrambi. I nuovi statuti dovranno infatti passare il vaglio della Banca d’Italia, che nella sua audizione sul decreto ha aperto alla possibilità di inserire limiti antiscalata ma solo a tempo e comunque non sommando i due strumenti: tetti e maggiorazione. Insomma, la riforma delle popolari non si può certo dire snaturata dal passaggio parlamentare. Basti pensare che non è passata, come anticipato da MF-Milano Finanza, la modifica delle soglie che comporteranno la trasformazione in spa, rimasta a 8 miliardi di attivo, mentre molti parlamentari, compresa buona parte del Pd, chiedevano l’innalzamento a 30 miliardi. Una chiusura che ha inasprito gli attriti interni al Partito Democratico, con Francesco Boccia e Stefano Fassina che hanno criticato pesantemente la decisione dell’esecutivo di blindare il decreto. Anzi, il presidente della commissione Bilancio ha anche detto che se il governo non spiegherà la ragione per la quale ha fissato la soglia proprio a quota 8 miliardi sarà necessaria un’indagine conoscitiva.
D’altro canto va rilevato che l’esecutivo ha lasciato sul terreno parlamentare l’idea di accelerare il percorso di trasformazione, accorciando i 18 mesi concessi alle popolari per effettuare la trasformazione in spa. È invece stata accettata la proposta, presentata in un emendamento, per esclusione del caso morte dai limiti sull’esercizio di recesso. Qualche modifica è stata fatta anche all’articolo 2, quello relativo alla portabilità dei conti correnti, che prevede che ci sia un indennizzo (al posto del risarcimento previsto nel testo varato dal governo) e che i criteri di «quantificazione» dell’indennizzo siano definiti con «un decreto del ministero dell’Economia, sentita la Banca d’Italia». Le banche avranno «due mesi» dall’entrata in vigore della legge di conversione per adeguarsi.
Infine, per quanto riguarda la trasformazione di Sace in banca, l’articolo 3 è stato riformulato in modo da rimettere in mano alla controllante Cassa Depositi e Prestiti la decisione sulla possibilità per il gruppo assicurativo di fare credito diretto. Il nuovo testo prevede infatti che a finanziare le operazioni di export possa essere Cdp «direttamente» oppure tramite Sace. Non solo, l’attività potrà essere esercitata anche da un’altra controllata, sempre «previa autorizzazione della Banca d’Italia». Intanto per la prossima settimana è previsto il lancio del primo bond retail di Cdp, il cui importo dovrebbe essere di 1 miliardo
Per quanto riguarda invece l’approvazione definitiva dell’Investment Compact, il dl sarà oggi in aula per la discussione generale. Lunedì e martedì la Camera sarà impegnata sulle riforme costituzionali e quindi la sua approvazione definitiva, con tutta probabilità con voto di fiducia, è prevista per mercoledì o giovedì. (riproduzione riservata)