Tfr monetizzabile in busta paga. I lavoratori dipendenti, infatti, possono decidere di ricevere il trattamento di fine rapporto (Tfr) mensilmente in busta paga, anziché a fine carriera. La scelta è possibile solamente per i dipendenti del settore privato (sono esclusi gli impiegati pubblici) e riguarda solo il Tfr ancora da maturare nel periodo che va dal prossimo mese di marzo fino a quello di giugno 2018. La scelta, se fatta, è irrevocabile. Perciò, chi deciderà in tal senso, non potrà poi avere ripensamenti: la monetizzazione non potrà più essere revocata fino al mese di giugno 2018. La scelta è possibile anche a chi abbia già destinato il Tfr a fondo pensione. In tal caso si tratterà, dunque, di uno scambio: rinunciare a investire il Tfr in una pensione di scorta per intascare un «supplemento» in busta paga. Sulle quote di Tfr che finiranno in busta paga (si chiameranno Pir, acronimo di «parte integrativa di retribuzione») i lavoratori pagheranno le tasse in misura ordinaria. La novità è prevista dalla legge n. 190/2014 (Stabilità 2015).
Il Tfr. Il Tfr è una prestazione cui ha diritto il lavoratore dipendente alla risoluzione del rapporto di lavoro, per qualunque motivo avvenga (dimissioni o licenziamento). La disciplina è contenuta nell’art. 2120 del codice civile, che tra l’altro ne fissa la misura: per ogni anno di servizio, il Tfr è pari alla retribuzione dello stesso anno divisa 13,5. Sulla quota annua di Tfr i lavoratori pagano un contributo all’Inps dello 0,5% della retribuzione (quella su cui è calcolato il Tfr). Semplificando il criterio di calcolo, ne deriva che il Tfr è pari al 6,91% della retribuzione. Per esempio, un lavoratore con retribuzione annua di 20 mila euro ha diritto a un Tfr annuo di 1.381,48 euro.
La rivalutazione annuale. Esclusa la quota maturata nell’anno, il Tfr anno dopo anno (incluse rivalutazioni) è soggetto a rivalutazione annuale al 31 dicembre di ogni anno. In pratica è incrementato con applicazione di un tasso pari all’1,5% (misura fissa) più il 75% dell’inflazione. Ciò garantisce ai lavoratori un rendimento superiore alla perdita del potere d’acquisto (inflazione), finché l’inflazione non supera il 6%. Per esempio, con l’inflazione al 2% il tasso di rivalutazione sarà del 3%: 1,5% (misura fissa) più 1,5% (il 75% di 2%).
La finalità previdenziale. La normativa sul Tfr è stata riformata dal 1° gennaio 2007 (dlgs n. 252/2005). Tra le novità, una di stampo teorico concerne (va) la finalità: fino al 31 dicembre 2006 il Tfr era squisitamente una retribuzione differita; dal 1° gennaio 2007 è diventato uno «strumento a finalità previdenziale». In verità, la previdenza integrativa da sempre ha attribuito un ruolo importante al Tfr quale fonte di finanziamento delle pensioni integrative, consentendo ai fondi pensione di prevederne a sé la destinazione (di una quota o di tutto). Ma dal 1° gennaio 2007, questa che era una possibilità è diventata la regola: il Tfr, di principio (cioè di regola), è conferito alla previdenza integrativa; i lavoratori, volendo, possono escludere questo automatismo e conservare il Tfr sotto forma di retribuzione differita (cioè come una buonuscita).
La regola del silenzio-assenso. La novità è espressa da una formula: la regola del «silenzio-assenso». Regola che si applica ai lavoratori dipendenti (solamente settore privato) e prevede questo: se il lavoratore nulla dice riguardo al suo Tfr, esso finisce automaticamente nel Fondo pensione aziendale o in quello di settore; ovvero, se mancano questi fondi, a FondInps (che è uno specifico Fondo pensione costituito presso l’Inps per i lavoratori di aziende/settori privi di un proprio fondo pensione di riferimento, in genere indicato nel Ccnl). Ne è derivato, dunque, che ai lavoratori non è concesso di ignorare la scelta sul Tfr, altrimenti si ritrovano (volendo o meno) iscritti alla previdenza integrativa con destinazione di tutto il Tfr al Fondo pensione e senza possibilità di tornare indietro: la scelta è irrevocabile.
Sei mesi per decidere. La regola del «silenzio-assenso» produce effetto sei mesi dopo l’assunzione. Perciò, i lavoratori hanno questo tempo (sei mesi) per decidere le sorti del loro Tfr. Il termine è mobile, non fisso: i sei mesi si contano dalla data di assunzione. Due le modalità a disposizione dei lavoratori per scegliere:
- modalità tacita (è il «non scegliere»);
- modalità esplicita.
La modalità tacita realizza appieno la regola del silenzio assenso: se il lavoratore sta zitto, se cioè non manifesta per iscritto alcuna sua preferenza, il destino del suo Tfr è segnato: finisce nella previdenza integrativa.
Invece se il lavoratore manifesta per iscritto una decisione sul destino del suo Tfr si realizza la seconda modalità: quella esplicita per la quale si utilizza un’apposita modulistica predisposta dal ministero del lavoro, il modulo «Tfr2». Attraverso questo modulo, in maniera esplicita, il lavoratore può esprimere di:
a) conservare il Tfr presso il datore di lavoro e incassarlo a fine rapporto (la decisione può essere cambiata successivamente);
b) destinare il Tfr alla previdenza complementare, a un Fondo pensione di sua scelta (la scelta è irrevocabile e non c’è possibilità di cambiarla successivamente).
Pochi, maledetti e subito. La monetizzazione della legge Stabilità 2015 (c.d. «mensile Renzi») rappresenta, dunque, una terza opzione sul Tfr che già oggi, come detto, i lavoratori dipendenti possono/devono fare entro sei mesi dall’assunzione. Praticamente, oltre a poterlo destinare a un Fondo pensione (per una pensione di scorta) oppure a mantenerlo presso la propria azienda come buonuscita, possono decidere di «monetizzarlo» subito, cioè di riceverlo mensilmente in busta paga. La terza chance opera in via sperimentale per i periodi di paga dal 1° marzo 2015 al 30 giugno 2018, esclusivamente a favore dei lavoratori dipendenti del settore privato (fuori dunque i dipendenti pubblici), esclusi domestici e settore agricolo. Sono inoltre esclusi i datori di lavoro in crisi o soggetti a procedure concorsuali; ciò significa che i dipendenti di queste aziende avranno preclusa la facoltà di optare per la liquidazione in busta paga. È previsto che un decreto (da emanarsi entro 30 giorni dall’entrata in vigore della legge Stabilità, quindi entro fine gennaio) dia attuazione alla nuova misura, fissando anche termine per la scelta. Ed è prevista inoltre una condizione per poter fare la scelta: l’anzianità di servizio, del lavoratore, di almeno sei mesi presso il datore di lavoro.
© Riproduzione riservata