di Claudia Cervini
Il tanto atteso rimbalzo in borsa di Carige si è verificato. Dopo aver toccato nei giorni scorsi il minimo storico e aver perso fino al 28%, il titolo della banca ligure ieri ha chiuso la seduta 0,069 euro con una variazione positiva di 3,29% (in apertura lo scatto è stato addirittura del 9%).
Il rialzo si deve alle indiscrezioni circa l’avvento di possibili investitori, in primis il cavaliere bianco del private equity Andrea Bonomi e alle voci di imminente m&a (è circolato anche il nome dei francesi di Crédit Agricole). Anche se la partita è ancora tutta da giocare (la banca invierà il capital plan alla Bce entro il 9 novembre) non è un mistero che, le due soluzioni sopra indicate sarebbero quelle più gradite alla Fondazione che si impegnerà a evitare, ove possibile, una ricapitalizzazione. L’aumento di capitale porterebbe infatti l’ente – che attualmente detiene il 19% – a diluirsi fino al 3% e significherebbe la sua sostanziale emarginazione. Ecco perché l’istituzione presieduta da Paolo Momigliano, insieme all’advisor Banca Imi, sta valutando scenari alternativi. Tra questi figurerebbe anche l’intenzione di mettere sul mercato il 7% del capitale (c’è già l’autorizzazione del Tesoro a effettuare questa vendita ). La cessione potrebbe andare a favorire l’ingresso di un socio forte, che sia disponibile anche a sottoscrivere l’aumento (la cui entità è ancora tutta da definire).
In questa ottica la Fondazione non escluderebbe la sigla di un patto parasociale, sulla scia di quanto avvenuto a Siena. Sono note, infatti, le recenti mosse della Fondazione Mps che ha optato per un patto di sindacato con i soci stranieri Btg Pactual e Fintech Advisory, scelta che ha permesso all’ente di mantenere un peso nella governance dell’istituto toscano. Un ragionamento simile sta circolando in questi concitati giorni nelle sale dello storico palazzo di via Chiossone. Ma si tratta ancora di puri ragionamenti visto che, a oggi, nessun investitore ha scoperto le carte. La Fondazione parrebbe, oltretutto, più favorevole a un’operazione di m&a tradizionale, ma in questo clima di incertezza sono al vaglio tutte le strade che consentirebbero all’ente di non spezzare un legame storico per la città e per la politica locale. Senza contare che la quota del 7% potrebbe essere collocata sul mercato con un’operazione di accelerated book building dall’esito non facilmente prevedibile. Dopo il doppio consiglio (di amministrazione e di indirizzo) di venerdì 31 l’ente ha preparato una lettera da inviare alla banca ligure per chiedere ulteriori dettagli sulle linee guida di intervento già deliberate dal cda di domenica 26 e, al contempo, per sondare l’opzione di percorrere strade alternative all’aumento (non va dimenticato che la Fondazione ha un debito superiore a 100 mln contro un patrimonio di 90). Tra le ipotesi sul tavolo, va ricordato, c’è anche l’emissione di strumenti finanziari partecipativi, che però pare poco percorribile. Al netto delle mosse allo studio la palla è in mano alla banca ligure che, come detto, entro lunedì prossimo presenterà alla Bce il piano finalizzato a colmare il deficit di patrimonio da 814 milioni di euro emerso a seguito degli stress test. Il piano prevede un aumento di capitale da almeno 500 milioni (ma garantito per 650 milioni da un consorzio capitanato da Mediobanca) e una serie di cessioni. Dopo la vendita delle assicurazioni al Fondo Apollo Management (il cui impatto sul patrimonio è di un centinaio di milioni), la banca potrebbe mettere sul mercato il credito al consumo (Creditis) e il private banking (Cesare Ponti) il cui beneficio sul patrimonio sarebbe di un altro centinaio di milioni, stando alle stime. A tali opzioni si aggiungerebbe anche l’incorporazione di alcune controllate. Per osservare le mosse della Fondazione bisognerà attendere il prossimo consiglio, che potrebbe conferire un chiaro indirizzo alla partita. (riproduzione riservata)