di Roberta Castellarin e Paola Valentini
Quindici anni fa, alla fine degli anni 90, erano un prodotto poco amato da banker e reti di promozione finanziaria, perché considerati troppo costosi e poco vantaggiosi sul piano fiscale. Ma oggi quella scatola chiamata unit linked si è rinnovata e, anzi, dall’inasprimento della tassazione sui rendimenti finanziari ne è uscita avvantaggiata.
Chi investe in unit linked può passare da un fondo all’altro con le quote al lordo della tassazione. Si evita quindi sia il problema dell’applicazione dell’imposta sul capital gain in occasione di ogni switch, sia quello dell’impossibilità di compensare le plusvalenze realizzate con l’investimento in fondi con minusvalenze sempre derivanti da fondi o sicav. A questo poi si aggiungono i vantaggi in caso di successione perché quanto investito in unit linked non va a contribuire all’asse ereditario, con conseguente assenza di tasse di successione, e nel caso di morte del sottoscrittore il beneficiario della polizza è esente dall’imposta sul capital gain. «La polizza vita rappresenta uno strumento di tutela e segregazione patrimoniale che, se portata fino alla morte dell’assicurato, permette l’ottimizzazione del passaggio generazionale e della pianificazione successoria, nonché della regolamentazione fiscale che prevede l’esclusione delle somme dall’imposta di successione. Inoltre», spiega Marco Caldana, ad di Farad International, broker specializzato in soluzioni assicurative «lo strumento assicurativo, contempla la possibilità di scegliere liberamente il beneficiario e garantire altresì che la somma prestabilita possa rimanere ignota.
Scegliendo dunque di trasmettere il patrimonio attraverso una polizza vita si consente, nel rispetto della quota legittima, di tutelare gli eventuali soggetti più deboli». Ma a fronte di questi punti di forza tali polizze possono presentare maggiori costi rispetto ai fondi di fondi o alle gestioni patrimoniali. Questo non impedisce di far vivere una fase di forte crescita alle unit linked, polizze del cosiddetto ramo III. «È da un paio d’anni che le unit linked hanno ripreso a fare numeri di raccolta interessanti. Se il 2009 e il 2010 sono stati dominati dalle polizze tradizionali di ramo I legate alle gestioni separate, dal 2012 le unit linked sono ripartite», spiega Alessandro Quero, Head of Life & Pensions della società di consulenza Iama. I motivi? A trainare la raccolta ci sono fattori legati sia al lato della domanda sia a quello dell’offerta. Dal punto di vista delle compagnie le polizze unit linked oggi sono prodotti interessanti perché comportano meno garanzie rispetto alle gestioni separate e quindi impegnano meno capitale per la società. «Le compagnie spingono il ramo III perché consente di bilanciare il mix di prodotto visto che negli anni scorsi c’è stata una forte crescita del ramo I.
Con la nuova normativa Solvency (che impone requisiti in termini di diversificazione dei rischi, ndr) è necessario avere parti significative di ramo III», afferma Quero. Sul fronte degli investitori, la domanda resta elevata nel segmento del private banking, grazie al punto di forza rappresentato dall’assenza di imposte di successione. Inoltre la ripresa dei rendimenti di prodotti del risparmio gestito, che sono i sottostanti delle polizze unit, ne aumenta l’appeal. Non stupisce che oggi i numeri di raccolta di questi prodotti appaiano in continua crescita. «L’ammontare delle riserve unit-linked ha raggiunto 120 miliardi di euro alla fine di giugno 2014, una crescita decisamente marcata rispetto allo stesso periodo dello scorso anno ma anche rispetto a un 2013 chiuso con 107 miliardi di masse», dice Quero. Il trend trova conferma anche nella nuova produzione. «La nuova produzione, nei primi sei mesi dell’anno, è pari a 13,3 miliardi di euro, in ulteriore crescita del 2% rispetto a un 2013 già da record. Mentre nel 2010 furono le unit-linked garantite/protette a trainare il mercato, a partire dal 2012 sono i prodotti senza tali protezioni a dominare le vendite», conclude l’esperto della Iama. (riproduzione riservata)