di Antonio Satta

Come il solito Matteo Renzi getta il cuore oltre l’ostacolo. Questa volta con la proposta di lasciare ai lavoratori in busta paga la metà o più del Tfr che matura ogni mese. Un’idea che già aveva avuto Giulio Tremonti, salvo poi archiviarla vista le difficoltà che comporta un progetto del genere. 
Difficoltà che non sono state certo superate neanche ora e che in tanti, dentro e fuori il governo (a cominciare dai tecnici di Via XX Settembre), hanno sollevato quando la squadra di consiglieri di Renzi, guidata da Filippo Taddei e Yoram Gutgeld, ha cominciato a far girare il progetto.

 

Addirittura il ministro Pier Carlo Padoan si era spinto a smentire ogni idea di toccare l’attuale ordinamento del Tfr, ma poi Renzi, convinto che bisogna insistere sulla stessa strada del bonus da 80 euro, e quindi far crescere la busta paga dei lavoratori per favorire i consumi e con essi la ripresa, ha deciso di rompere gli indugi: «Metteremo in campo anche il Tfr», ha annunciato prima alla direzione del Pd prima di ripeterlo anche ieri a Ballarò. «Ne stiamo parlando, ne discuteremo nei prossimi giorni. Ma anziché tenere i soldi da parte alla fine del lavoro, li do tutti i mesi. Significa, per uno che guadagna 1.300 euro, un altro centinaio di euro al mese che uniti agli 80 euro inizia a fare una bella dote. Se recuperi 180 euro nel giro di un anno vuol dire che inizi ad avere un potere d’acquisto maggiore».

Ragionamento che fa pensare che Renzi stia ipotizzando di poter mettere in busta paga l’intero Tfr maturato e non solo la metà, come sostenevano le prime anticipazioni, altrimenti a quei livelli retributivi, visto anche che si applicherebbe l’aliquota marginale e non quella di favore tipica del trattamento di fine rapporto, la cifra netta che resterebbe a disposizione del lavoratore sarebbe quasi la metà di quella ipotizzata dal premier.

Un progetto preciso, però, ancora non c’è e soprattutto non lo hanno visto i vari soggetti interessati, a cominciare dalle assicurazioni e dai fondi pensione, preoccupati che possa inaridirsi il flusso che porta ogni anno 6 dei 23 miliardi maturati con il Tfr verso le forme di previdenza complementare (tra le ipotesi circolate c’era anche quella di rivedere la norma del 2005 che considera irreversibile la scelta di chi ha optato per trasferire il tfr ai fondi). Ma di carte non ne hanno viste nemmeno a Confindustria, dove l’allarme è massimo, perché di quel monte Tfr tra 11 e 12 miliardi è la cifra che rimane a disposizione delle aziende con meno di 50 dipendenti. E nessun progetto è nemmeno arrivato sui tavoli dell’Abi e delle banche, che però per la strategia del premier sono protagonisti importanti, se non decisivi, della storia. Renzi, infatti, per non dare un colpo mortale alle Pmi, che si finanziano anche con il Tfr dei dipendenti, pensa a una triangolazione proprio con gli istituti di credito. Il progetto è a grandi linee quello ipotizzato proprio ieri sul sito de lavoce.info, dal professor Stefano Patriarca, che è stato presidente del Formez oltre che aver guidato i centri studi di Cgil e Cisl. Patriarca ha descritto nel suo articolo un meccanismo in parte già ipotizzato ai tempi di Tremonti da Giuseppe Vitaletti. «Si tratta», ha spiegato, «di traslare il credito (liquidazione futura) dei lavoratori nei confronti dell’impresa in un credito della banca nei confronti dell’impresa. Le aziende», prosegue Patriarca, «continuerebbero a fare l’accantonamento nel modo attualmente previsto (nel proprio bilancio, versandolo all’Inps o a un fondo di previdenza, secondo della normativa) e a pagare l’importo della liquidazione al momento della chiusura del rapporto di lavoro. La quota annuale al lavoratore che ne fa richiesta verrebbe erogata da un’istituzione finanziaria (banche o Cdp) che anticiperebbe ai lavoratori che ne facessero richiesta l’importo lordo del Tfr. Le imprese dovrebbero continuare, come oggi, ad accantonare in bilancio il Tfr con la rivalutazione dovuta per legge (tasso di interesse pari). Al momento della chiusura del rapporto di lavoro, l’impresa erogherebbe la liquidazione non al lavoratore (che già l’ha ricevuta), bensì all’istituto bancario che ha erogato l’anticipo e che avrebbe una remunerazione sul prestito pari al tasso di rivalutazione del Tfr all’1,5% più lo 0,75% dell’inflazione (oggi equivalente a 2,25%), e tale costo dell’intermediazione bancaria (a carico dell’impresa) sarebbe esattamente quello che l’impresa già oggi sostiene per remunerare il Tfr».

Il meccanismo ideato da Patriarca risolverebbe anche i problemi di merito di credito che potrebbero bloccare il prestito ad aziende dal profilo di rischio troppo alto. Spiega infatti Patriarca: «Per le banche il prestito sarebbe esente dal rischio di insolvenza del datore di lavoro, in quanto quel rischio è già coperto da un apposito fondo assicurativo presso l’Inps, alimentato con un contributo dello 0,2%». Si tratta proprio di quella montagna di oneri impropri lamentati dalle aziende e che si aggira sui 700 milioni l’anno, che però in questo caso metterebbe in sicurezza l’operazione.

 

Il meccanismo sarebbe inoltre applicabile anche alla quota di Tfr attualmente gestita dall’Inps (sono altri 6 miliardi), che riguarda i dipendenti pubblici e i dipendenti delle imprese con più di 50 addetti. «Anche in questo caso, l’anticipo verrebbe operato dal soggetto finanziario e nulla muterebbe per l’Inps». Patriarca non esclude dal conto nemmeno la quota che già le imprese trasferiscono ai fondi pensione; in quel caso, secondo l’economista de lavoce.info «l’anticipo può essere direttamente erogato dal fondo integrativo».

In ogni caso resta centrale il ruolo della banche, con le quali da tempo Renzi sta cercando un disgelo dopo i primi mesi di rapporti burrascosi. Sempre a Ballarò, dopo aver premesso che «il Tfr, così com’è, c’è praticamente solo in Italia», Renzi ha aggiunto: «La preoccupazione è che se diamo il Tfr subito in busta paga ci sia un problema di liquidità per le piccolissime imprese, mentre le grandi ce la fanno. Sulla base di questo stiamo ragionando del fatto che l’Abi possa dare i soldi che arrivano dall’Europa, quelli che noi chiamiamo i soldi di Draghi, alle piccole imprese per garantire la liquidità». Non sarà facile, ma intanto il tema è stato lanciato. (riproduzione riservata)