di Andrea Cabrini
Cedole, per far rendere i propri risparmi anche nell’immediato. E diversificazione, per evitare di esporli ai tanti rischi presenti nell’economia reale. Sono le due parole d’ordine del trend positivo che il risparmio gestito sta cavalcando da due anni a questa parte. Prodotti a cedola e multiasset, quindi, prendono il posto della vecchia ricetta «Bot e mattone» che segna il passo in termini di rendimenti.
E anche con la recessione l’italiano continua a risparmiare, facendo macinare record all’industria del settore: in agosto l’ammontare del patrimonio in mano ad operatori professionali del risparmio gestito ha superato quota 1.500 miliardi, battendo in termini di raccolta nei primi otto mesi dell’anno quanto realizzato nell’intero 2013. E il trend sembra destinato a proseguire nonostante i timori dovuti alla crisi. «Sì, perché quello che attira non sono solo i rendimenti ma il giusto mix che stiamo riuscendo a creare tra buoni rendimenti e bassi profili di rischio», spiega Giordano Lombardo, presidente di Assogestioni, associazione che riunisce gli operatori del comparto. La sua – dagli studi di Partita Doppia su Class Cnbc – è un’analisi accorta dei motivi che spingono gli italiani verso questi strumenti e al contempo un appello al governo Renzi perché sostenga il settore.
Domanda. Presidente Lombardo, la formula dei fondi a cedola sta vivendo un boom, ma in genere sui mercati finanziari quando c’è un eccesso di domanda nascono anche dei rischi.
Come vede la situazione?
Risposta. Nessun prodotto finanziario è mai del tutto privo di rischi, ma in un periodo di crisi i fondi a cedola hanno risposto a un’esigenza reale comportandosi di fatto come prodotti obbligazionari, con una scadenza chiara per il cliente e con un flusso cedolare che – sebbene non sia assicurato contrattualmente – riescono a garantire. E man mano che i mercati salivano, si sono indirizzati verso una maggiore diversificazione; ciò consente di tenere sotto controllo il rischio.
D. Eppure il patrimonio gestito rappresenta ancora solo il 25% dei risparmi degli italiani. Il resto sta sul conto corrente o nell’obbligazionario, esponendo le famiglie al rischio di rendimenti insufficienti rispetto alle future esigenze.
R. Questo è vero, soprattutto in questa fase in cui i tassi, a causa delle difficoltà di ripresa, sono destinati a rimanere bassi per lungo tempo. Per questo ci impegniamo ad aumentare anche il numero delle famiglie che si rivolgono a operatori professionali. Anche perché, ricordiamolo, il risparmio gestito offre soluzioni anche per tagli molto piccoli. Insomma, è alla portata di tutti. Ma, com’è successo in tutti gli altri Paesi, è necessario che venga utilizzata la leva fiscale per incentivare le famiglie ad avvicinarsi a questi strumenti.
D. È un appello al governo Renzi. Ma per ora iniziative di questo tipo non sono in agenda. Anzi, tra i suoi primi passi l’esecutivo ha aumentato la tassazione sulle rendite.
R. Non ci sembra scandaloso. Dopotutto siamo ancora nella media europea. Il rischio vero è creare una disparità tra i prodotti. Per esempio: i titoli di Stato sono tassati diversamente e le famiglie rischiano di decidere sulla base di criteri sbagliati.
D. Quindi Assogestioni che cosa chiede Renzi?
R. Che le forme d’investimento di lungo periodo vengano favorite fiscalmente. Un esempio? Dimezzare le tasse a chi blocca i risparmi per cinque anni.
D. Economia italiana e mercati; la prima non si è ancora ripresa, i secondi sono ai massimi. Prima o poi si ricongiungeranno; i mercati torneranno a scambiare su livelli più bassi. Chi entra oggi nella partita si assume dei rischi eccessivi?
R. Per ora i risparmiatori hanno tenuto un comportamento abbastanza saggio, rivolgendosi a prodotti diversificati. Per ora non vedo il formarsi di bolle, ma il rischio c’è. C’è troppa liquidità e da qualche parte deve andare. Ecco perché bisogna insistere sul concetto di diversificazione, soprattutto in periodo di crisi.
D. La crisi, appunto; come si fa a mettere davvero il risparmio a disposizione dell’economia reale?
R. Il nostro primo obbiettivo è garantire ai risparmiatori rendimenti in sicurezza, però è possibile canalizzare parte del denaro verso questi scopi. Esistono già molte iniziative in tal senso, per esempio i minibond. È un settore in crescita ed è il primo esempio di come il risparmio gestito possa affiancarsi ai tradizionali canali bancari per le pmi. Anche in Europa c’è attenzione su questo; si sta approvando il Long term investment fund, strumento che per ora è dedicato solo a investitori istituzionali ma che va proprio nella direzione di fornire risorse alle imprese.
D. E alle esigenze del risparmio previdenziale.
R. Sì, sono gli strumenti tipici di questa forma di risparmio, perché hanno durata maggiore. Oggi il comparto previdenziale italiano è quello con le maggiori potenzialità di crescita. Sul retail siamo in linea con gli altri Paesi, ma i nostri fondi pensione sono ancora piccoli rispetto ai partner europei.
D. A chi spetta incoraggiare il settore? Al governo o all’industria del risparmio?
R. A entrambi. Noi possiamo fare molto nel proporre nuovi prodotti, però la regolamentazione conta. Oggi i fondi pensione italiani hanno molti vincoli di prudenza che i loro concorrenti esteri non hanno. Poi si può intervenire anche sulla tassazione spostando l’enfasi dai rendimenti maturati a quelli a termine, come avviene nel settore previdenziale europeo.
D. I fondi italiani, nati nell’84, compiono 30 anni. La loro penetrazione è ancora limitata rispetto agli altri Paesi. SecondoMediobanca, il motivo è che costano tanto e rendono poco.
R. Gli studi sulle performance possono dimostrare tutto e il contrario di tutto, ma i rendimenti netti italiani sono in linea con quelli del risparmio gestito internazionale e sono premianti rispetto a scelte come immobili e Bot. Anche i costi sono in linea con quelli europei. Ovvio che i bassi tassi d’interesse provocheranno una pressione al ribasso sulle commissioni, ma la cosa più importante per i clienti è il rendimento netto. Perciò è importante rivolgersi alla propria banca o al proprio consulente finanziario.
D. Chiudiamo con le banche. La società che lei guida, Pioneer Investments, ha avviato dialoghi con Santander per arrivare una fusione. Che cosa rappresenterà questa nuova entità?
R. È presto per dirlo; abbiamo reso noto l’avvio del dialogo con una realtà significativa del risparmio gestito, ma siamo solo all’inizio. In ogni caso questo settore in Europa è molto frammentato, con almeno 1.400 operatori, e penso che nei prossimi anni assisteremo a un consolidamento, perché l’aumento delle dimensioni va nell’interesse dei clienti. Penso che sarà un’avventura interessante. (riproduzione riservata)